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di Franco Venturini


Corriere della Sera, 2 agosto 2019

 

La nuova presidente della Commissione oggi è a Roma, un'occasione per discutere sull'insostenibilità dell'assenza dell'Unione sulla scena internazionale. Nel cimitero della Storia americani e russi seppelliscono oggi quel Trattato Inf che nel 1987 ci liberò dagli euromissili.

A piangerlo, ora che scadono i sei mesi di riflessione dopo la denuncia degli accordi, ci sono soltanto due presenze: una è la Cina (anche per aver mano libera con lei e con la Corea del Nord Trump ha organizzato il funerale); l'altra è l'Europa, che aveva dato il suo nome a quei missili micidiali e che li ospitava sul suo territorio (per esempio nella base siciliana di Comiso) diventando potenziale bersaglio di uno scambio nucleare tra Est e Ovest.

Una Europa che da oggi, almeno in teoria, potrebbe vederseli rispuntare sull'uscio di casa quei missili tra 500 e 5.500 chilometri di gittata, visto che il divieto internazionale sta cadendo, che i rapporti Usa-Russia sono pessimi, e che la tecnologia ha prodotto nuove straordinarie macchine di morte. È questo lutto silente e rassegnato dell'Europa, dunque anche nostro, che ci interessa e ci indigna. Si può capire che l'America consideri obsoleti i trattati di disarmo dei tempi andati (l'Inf fu firmato da Reagan e Gorbaciov), che voglia poter dispiegare missili di quella gittata anche in Asia e che non sia insensibile ai progressi della tecnologia militare soprattutto se Mosca bara davvero al gioco e produce un Cruise proibito (denominato 9M729 oppure Ssc-8). E si può capire, anche, che la Russia non aspetti Trump per mettere a punto i suoi nuovi missili ipersonici, e che a sua volta Putin accusi gli Stati Uniti di violare il trattato modificando gli equilibri nucleari con i loro missili "soltanto difensivi" in Romania e in Polonia.

Ma quel che non si può capire e non si può accettare è che l'Europa, prima beneficiaria a suo tempo del divieto e oggi prima potenziale vittima dell'abolizione del divieto, mantenga tenacemente il suo profilo basso, resti alla finestra, eviti di sollevare la questione negli incontri che pure ci sono stati con Donald Trump e con Vladimir Putin. Che si dichiari essa stessa, insomma, non formata da Stati sovrani e dunque non in grado di badare ai suoi interessi. E di interessi non trascurabili si tratta.

Certo, un portavoce della Commissione di Bruxelles ha dichiarato a un certo punto che l'Europa "continuava ad essere impegnata per mantenere l'accordo Inf sul nucleare". Federica Mogherini, responsabile della politica estera europea, ha tentato di fare la sua parte. La questione è stata sollevata in sede Nato, vale a dire con tutti gli europei allineati dietro Washington (che per prima aveva dichiarato di voler uscire dal trattato). E tanto dagli Usa quanto dalla Russia sono giunte generiche assicurazioni contro l'eventualità di una corsa al riarmo missilistico-nucleare in Europa. Ma sappiamo tutti che se mai ci sarà una "nuova Guerra fredda" tra Usa e Russia, essa avrà luogo in Europa. Come la vecchia.

L'irresponsabilità dei nostri silenzi, allora, rimane. Ed è una occasione preziosa (o lo sarebbe, se i nostri dirigenti politici non dovessero occuparsi delle loro diatribe quotidiane) quella che porta proprio oggi a Roma Ursula von der Leyen, la nuova presidente della Commissione europea. Vogliamo sperare che a lei il presidente del Consiglio Giuseppe Conte faccia presente l'insostenibilità dell'assenza europea dalla scena internazionale, oltre a discutere dove andrà a sedersi il commissario italiano. Vogliamo sperare che tanto a Conte (e sicuramente al presidente Mattarella) quanto a von der Leyen sia chiara l'urgenza di dare all'Europa, o almeno alle capitali europee unite in cooperazioni rafforzate o in schemi di "diverse velocità", una capacità, che oggi non c'è, di interloquire credibilmente con Washington, con Mosca e in altre questioni con Pechino. In un mondo dove cresce di continuo la competizione strategico-tecnologica tra le grandi potenze, è giunto il momento di capire se l'Europa intende soltanto chinare il capo e continuare a dividersi, oppure se si può e si deve conquistare una credibilità che ci impedisca di soggiacere sistematicamente alle ambizioni altrui.

Ursula von der Leyen è tedesca ed è una ex ministra della Difesa. A lei è certamente chiaro lo smantellamento dell'ordine internazionale nato dopo la Seconda guerra mondiale, per mano di Donald Trump (e tra poco di Boris Johnson?). Di sicuro lei conosce il subdolo incunearsi della Russia di Putin tra le divisioni che percorrono quel che resta dell'Occidente.

La difesa europea sotto forma, inizialmente, di un pilastro europeo nella Nato, l'attribuzione di maggiori poteri all'Alto rappresentante per politica estera e difesa, la creazione di un Consiglio di sicurezza europeo, una spinta alla collaborazione tra industrie della difesa, il raggiungimento di intese tra gruppi avanzati di Stati, sono obbiettivi che l'Europa deve porsi nel quinquennio che comincia accanto alle priorità migranti e crescita. L'alternativa sarebbe una Europa a pezzi con i tre Grandi pronti a banchettare sulle sue spoglie. Ne uscirebbero male tutti, nel Vecchio Continente. Ma ben pochi quanto noi, scossi come siamo già da un perenne braccio di ferro interno e da confusi sussulti internazionali che perfezionano il nostro isolamento.