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di Luigi Manconi

 

La Repubblica, 18 luglio 2019

 

La grandissima parte degli italiani ignora chi sia Elisa Signori Rocchelli, e continuerà tranquillamente a ignorarlo. E tuttavia la grandissima parte degli italiani deve un po' di riconoscenza alla professoressa Signori, docente di Storia contemporanea al l'Università di Pavia. Suo figlio Andrea, fotoreporter di guerra, ha trovato la morte a trent'anni nel distretto di Slov'jans'k in Ucraina.

Durante il conflitto del Donbass, nel maggio 2014, Rocchelli, il traduttore Adrei Mironov, l'inviato francese William Roguelon e un autista locale furono oggetto di un attacco mirato, a colpi di mortaio, da parte di un gruppo di miliziani della Guardia nazionale ucraina. Oltre a Rocchelli, morì Mironov, mentre Roguelon rimaneva gravemente ferito.

Il capo di quei miliziani, Vitaly Markiv, arrestato in Italia nel giugno del 2017, è stato condannato lo scorso 11 luglio a 24 anni di reclusione per concorso in omicidio. Così un atroce episodio, che sembrava destinato a finire negli archivi anonimi delle tante "guerre sporche", ha cominciato a rivelare la sua natura e il suo intento: cancellare le testimonianze e i testimoni delle stragi di civili che accompagnano quelle guerre.

Con la condanna di Markiv, quel progetto non è più un mistero: ed è probabile che, senza la determinazione e l'intelligenza di Elisa Signori, della figlia Lucia e della nuora Maria Chiara, questo non sarebbe accaduto. Fateci caso, in una ininterrotta sequenza di vicende tragiche, che tuttavia riescono a strappare interamente o parzialmente il velo che nasconde verità messe a tacere, compaiono sempre un volto e un nome femminili.

Per limitarci all'ultimo mezzo secolo di storia italiana e ai casi più noti, ricordiamo Rossella Simone, compagna di Giuliano Naria, assolto con formula piena dopo nove anni di carcere, le cosiddette "mamme del Leoncavallo", riunitesi in associazione dopo l'omicidio di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci e poi via via Daria Bonfietti, presidente dell'associazione dei familiari delle vittime di Ustica, e tanti altri nomi, ognuno dei quali richiama una storia rimasta insoluta o la cui soluzione fa emergere responsabilità istituzionali.

In altre parole a un certo numero di figure femminili di intenso impatto emotivo e simbolico corrispondono altrettante questioni di rilievo pubblico. Penso a Patrizia Moretti Aldrovandi, Lucia Uva, Ilaria e Rita Cucchi, Grazia Serra Mastrogiovanni, Claudia Budroni, Domenica Ferulli, Elena Guerra, Flora ed Emilia Bifolco, Maddalena Lorusso, Giuliana Rasman, Paola Regeni (e con lei Alessandra Ballerini, legale anche della famiglia Rocchelli).

Emerge qualcosa di importante, in genere trascurato. Si può dire che la rilevanza del legame di sangue, quello primario e connaturale, è determinante nel fare di queste madri, figlie, sorelle, il "fattore umano" decisivo in tante battaglie civili.

La particolare determinazione nel perseguire verità e giustizia ha la sua radice proprio nell'elemento simbiotico tra congiunti, nel tessuto di "carne e ossa" che rappresenta il vincolo più tenace e che sembra avere nell'identità femminile il suo nucleo essenziale. Intorno a quel nucleo si forma l'aggregazione familiare-parentale-amicale che diventa protagonista della mobilitazione nel nome della vittima. E qui si verifica qualcosa di profondo.

I familiari rinunciano all'insopprimibile bisogno di vivere ed elaborare il proprio lutto nell'intimità della sfera affettiva. Una parte di quel dolore viene affidato alla società perché diventi questione pubblica, tema di mobilitazione collettiva, materia di conflitto. Il lutto viene "esposto" cosicché la vittima (di un'ingiustizia, un abuso di Stato, una colpa istituzionale) diventi interesse pubblico.

Molti hanno creduto di vedere, in quelle figure femminili, l'incarnazione contemporanea dell'Antigone di Sofocle. La suggestione è forte, ma la comparazione è impropria: le donne citate non simboleggiano le ragioni del cuore in conflitto con la ragion di Stato. No. Qui e oggi le ragioni di quelle donne sono le stesse dello Stato di diritto e del sistema democratico, violate e negate dagli interessi particolari di corporazioni e apparati statuali.

Pur tra le mille differenze, così è stato per la tragedia di Ustica, come per la morte del diciottenne Federico Aldrovandi sotto i colpi di quattro poliziotti (condannati in via definitiva). Queste vicende rimandano ancora a un'altra dimensione: quella filosofica, dove si pensano le grandi categorie che orientano la conoscenza umana.

In uno bel libro "L'uomo che deve rimanere. La smoralizzazione del mondo" (Quodlibet 2017) Eugenio Mazzarella, riprendendo Hegel, spiega come la legge del cuore sia in effetti la legge di tutti i cuori, abbia cioè una portata comunitaria e universale. E sottolinea come nell'eroina di Sofocle questa "legge di tutti i cuori" sia il diritto di resistenza in ultima istanza dell'umano in quanto umano alla sua negazione, da dove che venga: l'altro uomo, il popolo, lo Stato. In definitiva, al di là di ogni schematismo, c'è una "Antigone eterna" che ci parla ancora.