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di Andrea Carotenuto

 

Il Secolo XIX, 6 giugno 2019

 

Un incontro-seminario dell'Ordine dei Giornalisti della Liguria sulla vita in carcere e sulle problematiche legate alla detenzione e al reinserimento dei detenuti. Dai luoghi comuni che viaggiano sui social a "sproposito" del carcere e dei suoi ospiti alla denuncia del mancato rispetto delle "pene alternative" che potrebbero ridurre la popolazione carceraria e sino agli interventi che molte associazioni portano all'interno delle mura carcerarie per rendere più umana e davvero riabilitativa l'esperienza della detenzione. "Parole che liberano" sono quelle pronunciate nella sala dei Chierici, alla Biblioteca Berio, dai molti ospiti del convegno, organizzato dall'Ordine dei Giornalisti insieme a molte realtà collegate alle attività di recupero e volontariato e che ha affrontato il tema sotto più punti di vista ma con la stessa attenzione per i soggetti di cui spesso si parla - e a sproposito - ma senza voler approfondire.

Il seminario ha ospitato al mattino i contributi dei protagonisti del lavoro in carcere, professionisti e volontari, nei diversi ruoli sociali, di sorveglianza e di recupero e reinserimento. Ad introdurre l'argomento la proiezione di un video informativo, realizzato dall'associazione Antigone per sfatare le "fake news" che circolano attorno alla Giustizia italiana e al mondo del carcere. Sfatato il mito secondo cui il numero dei reati è in costante aumento e le carceri sarebbero luoghi "di riposo" nei quali i delinquenti vivono "come in albergo". L'associazione Antigone ha chiarito che il numero dei reati è in costante diminuzione e che il numero di indagati che finisce dietro le spalle in Italia è tra i più alti d'Europa, paragonabile a quello della Francia e più addirittura doppio rispetto alla Germania o al Belgio.

Pochi e ben inferiori al possibile i "permessi" e le autorizzazioni a scontare la pena in modo diverso dal carcere. Un problema che anzi viene denunciato ad ogni occasione in quanto l'Italia è inadempiente rispetto a queste possibilità che, oltretutto, consentirebbero di alleggerire il peso del numero dei detenuti in ogni carcere. Luoghi dove non si vive come in un albergo visto che in buona parte di essi non c'è doccia nelle celle, il bagno è spesso vicino ai letti o addirittura ai luoghi dove si mangia e dove manca spesso persino l'acqua calda. Da sfatare anche la necessità di nuove carceri visto che si potrebbero invece attuare le leggi che consentono di scontare le cosiddette pene alternative che potrebbero anche ridurre il fenomeno della recidiva che si innesca con la detenzione in carcere.

"Un nuovo carcere costa almeno 25 milioni di euro - è stato spiegato - ed ogni carcerato costa alla collettività circa 136 euro al giorno, sarebbe quindi preferibile lasciar scontare ai detenuti la pena in modo diverso e più "produttivo", ad esempio con corsi di formazione e di reinserimento". "Misure che già esistono - ha spiegato Ramon Fresta, educatore del Centro di Solidarietà di Genova (Ceis) da tempo impegnato in progetti di recupero - ma molto lavoro deve ancora essere fatto e deve cambiare la sensibilità comune sull'argomento. Noi crediamo in un percorso che porti a tener lontane le persone dal carcere anche e soprattutto fornendo una formazione e una preparazione al re-inserimento nella Società che passa anche attraverso il lavoro".

Nel pomeriggio c'è stato il confronto con due ospiti di Pontedecimo e Marassi autori di due libri testimonianza che vedono ufficialmente la luce proprio in occasione del seminario. Insieme a loro anche il contributo di don Giacomo Martino, cappellano in carcere a contatto con storie personali tragiche e profonde. Spazio anche all'esperienza terapeutica e formativa del Teatro Sociale dell'Arca, il primo teatro costruito direttamente dentro le mura di un carcere, a Genova. Anna Solaro, regista e teatro terapeuta, ha raccontato dell'esperienza straordinaria dei corsi di teatro e dell'attività di incontro e confronto con detenuti anche per reati particolarmente "odiosi" come le violenze sulle donne ed ha raccontato di persone in realtà fragili, spesso abusate a loro volta da piccole e con storie terribili alle spalle e che oggi si definiscono con il numero che identifica il reato che hanno commesso. Persone che possono e devono essere recuperate anche attraverso un percorso di rieducazione al sentimento e alla gestione delle proprie emozioni e che non possono semplicemente essere reclusi tra le sbarre di un carcere.