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di Piero Ferrante

 

gruppoabele.org, 28 maggio 2019

 

"Non c'è parola più polisemica di pena. Una parola che, nonostante i suoi tanti significati, non rimanda a nulla che ispiri fiducia o buoni sentimenti. Il carcere è una pena, non c'è dubbio che sia una pena. È, purtroppo, la pena per eccellenza. Nel nostro sistema, nonostante le illusioni normative di studiosi e giuristi, è proprio al carcere come pena che vengono affidate le sorti incerte di una società in crisi di valori e identità".

Il senso profondo sotteso alla redazione, da parte dell'associazione Antigone, del XV Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia sta in questa frase. Questa visione sociale sballata del carcere come sola pena, come punizione, come castigo, orienta in effetti la visione della detenzione da secoli, nei fatti restituendo alla società l'idea stigmatica del reo come soggetto irrecuperabile: se delinqui sei contro l'ordine costituito del mondo e, in quanto tale, la reclusione è la sola e unica pena ammessa.

Una visione restrittiva e pericolosa che fa a pugni con l'idea di diritto costituzionale. Non è un caso, dunque, che questa edizione del Rapporto dell'associazione presieduta da Patrizio Gonnella s'intitoli Il carcere secondo la Costituzione.

Come a voler sottolineare l'urgenza di un'inversione di prospettiva, da attuarsi prima che il sistema deflagri, collassando su se stesso. Lo dicono i numeri, lampanti: 60mila 439 detenuti registrati al 30 aprile significa 800 persone in più rispetto al 31 dicembre 2018 e 8mila rispetto a tre anni e mezzo fa. Un tasso di affollamento oltre il 120%, con il 18.8% delle celle (negli 85 istituti visitati da Antigone) dove manca il rispetto dei 3mq per detenuto (in violazione con quanto stabilito dalla Corte di Strasburgo rispetto alla dimensione di spazio minima e al di sotto della quale è il rischio di trattamento inumano o degradante).

Se cresce il numero dei carcerati, diminuisce in numeri assoluti e in percentuale quello degli stranieri in carcere, il che frantuma l'assioma - politicamente in voga e di facile consenso nelle urne - immigrato-uguale-criminale. Negli ultimi dieci anni, raccontano le stime di Antigone, sono in effetti diminuiti di oltre mille unità i detenuti non italiani nelle carceri, scesi dal 34.27% al 31 dicembre 2017 all'attuale 33.6%. Di più: se nel 2003 su cento stranieri residenti regolarmente in Italia l'1.16% degli stessi finiva in carcere, oggi la percentuale è scesa allo 0.36% (considerando nel numero anche gli irregolari).

"Un calo - ha illustrato Gonnella durante la conferenza stampa di presentazione del Rapporto tenutasi a Roma lo scorso 16 maggio - che riguarda in particolare le comunità, come quella rumena, che negli ultimi anni hanno avuto un processo di integrazione maggiore nel nostro Paese, attraverso anche i ricongiungimenti familiari, a testimoniare che il patto di inclusione paga anche dal punto di vista della sicurezza.

Resta viceversa allarmante il dato dei suicidi: nel 2018, stando al dato raccolto da Ristretti Orizzonti sono stati 67 (ma il Ministero dell'Interno ne conteggia sei in meno), un tasso di 11.4 suicidi ogni 10.000 detenuti. 31 i morti (per cause naturali o per suicidio) in carcere dall'inizio del 2019. A preoccupare sono soprattutto i 4 morti di Viterbo e Taranto, quest'ultimo il più affollato d'Italia. Inoltre, rimarca Antigone, in carcere ci si uccide quasi 18 volte di più che in libertà. Ad aumentare non sono stati tuttavia solo i suicidi, ma anche gli atti di autolesionismo che nel 2018 si sono attestati a quota 10.368 casi, con un incremento di mille episodi rispetto al 2017 e circa 3.500 rispetto al 2015 (955).

Numeri che segnalano un ridotto benessere penitenziario. Lo stesso ridotto benessere di cui parla anche il dato raccolto dall'osservatorio di Antigone secondo il quale il 28.7% dei detenuti presenti in carcere assume terapia psichiatrica sotto prescrizione medica.

Per provare a far fronte a questa situazione, Antigone sta per lanciare (nelle prossime settimane al via) la campagna Il carcere è un pezzo di città, che mira a ottenere per i sindaci le stesse prerogative di visita ispettiva negli istituti di pena che attualmente spettano ad altri rappresentanti istituzionali (consiglieri regionali, parlamentari, ecc), aumentando in questo modo il monitoraggio attivo da parte delle amministrazioni locali. Tra i Comuni coinvolti, c'è anche Torino.