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di Riccardo Mazzoni

 

Il Tempo, 28 maggio 2019

 

In principio fu la "bomba atomica" sui processi paventata dalla ministra Bongiorno a causa della legge spazza-corrotti che ha di fatto abolito la prescrizione, approvata a bocca storta dalla Lega; poi i contrasti sulla riforma della procedura penale che dovrebbe essere varata entro quest'anno ma di cui non è alle viste nemmeno uno straccio di testo condiviso; infine l'abuso d'ufficio che Salvini vuol cancellare dal novero dei reati ma che Di Maio difende invece tenacemente.

Questa, per sommi capi, è la cronaca della politica giudiziaria del governo, ma se fino a venerdì lo scontro sulla giustizia poteva essere derubricato solo a uno dei tanti argomenti da gettare in pasto agli elettorati contrapposti dei due partiti di maggioranza, dopo il ribaltone elettorale di domenica - con Salvini che è virtualmente diventato il premier ombra, se non effettivo, del governo gialloverde - potrebbe essere proprio questa la pistola fumante, l'incidente di Sarajevo" in grado di far deflagrare la resa dei conti finale tra Lega e Cinque Stelle.

L'abuso d'ufficio sarà infatti uno dei primi dossier "prendere o lasciare" che Salvini potrebbe gettare sul tavolo del prossimo consiglio dei ministri. Per la Lega l'abuso d'ufficio va ormai considerato come un reato "che blocca l'Italia", perché gli amministratori hanno paura di firmare atti, aprire cantieri e sistemare scuole o ospedali.

L'obiettivo è chiaro: togliere lacci e lacciuoli, abbattere i vincoli e soprattutto far prevalere la presunzione d'innocenza, perché sindaci e assessori sono alla mercé delle Procure con la mannaia della legge Severino che incombe su ogni singolo atto. Di Maio, chiudendo la campagna elettorale, aveva replicato in modo sprezzante, accusando Salvini di voler accaparrarsi i voti dei tanti corrotti in giro per l'Italia e soprattutto di voler salvare "qualche amico governatore", domanda retorica in cui qualsiasi riferimento a Fontana era ovviamente voluto.

Difficile che su una questione talmente identitaria - la legalità giustizialista - da essere iscritta nello stesso dna del Movimento, Di Maio possa fare marcia indietro dopo la disfatta elettorale. Questa volta, insomma, la rotta di collisione sembra inevitabile, anche perché Salvini, commentando in diretta televisiva la vittoria alle Europee, e dicendo che ora la prima da fare per il governo sarà la riforma fiscale, ossia la flat tax ideata da Siri, ne ha approfittato per lanciarsi in un lungo monologo sulla necessità, in un Paese civile, di riaffermare il principio costituzionale della presunzione d'innocenza.

Non è certo un caso se, proprio nel momento del trionfo elettorale, il leader leghista ha deciso di elevare il sottosegretario al ruolo di vittima sacrificale di un giustizialismo indegno, ribaltando il banco degli accusati e mettendoci sopra Di Maio e Conte, gli altri vertici del governo che proprio sulla cacciata di Siri avevano sperato di mettere le ali alla riscossa grillina.

Non ci vuole Nostradamus, quindi, per prevedere quale sarà la prima mina sulla strada del governo Conte, anche perché è ormai imminente la sentenza sul viceministro Rixi per le spese pazze alla Regione Liguria, un caso che Di Maio ha cavalcato strumentalmente in campagna elettorale attirandosi l'accusa della Lega di voler condizionare i giudici. Vedremo se, ancora una volta, a determinare la vita di un governo, più che gli elettori, sarà la magistratura.