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Redattore Sociale, 28 maggio 2019

 

Coordinati dalla giornalista Cecilia Marzotti, un gruppo di reclusi del penitenziario senese hanno sperimentato per la prima volta in un carcere il metodo della scrittura industriale collettiva ideato da Vanni Santoni. Si chiama "Fuori dal buio" ed è un racconto breve scritto a più mani da un gruppo di detenuti della Casa Circondariale di Siena coordinati dalla giornalista Cecilia Marzotti. Il libro è nato dall'idea di sperimentare per la prima volta in un carcere il metodo della scrittura industriale collettiva (SIC), ideato da Vanni Santoni, noto al grande pubblico per aver scritto una serie di romanzi di successo, e Gregorio Magini.

Il principio sul quale si fonda il metodo è che tutti gli scrittori, coordinati da una sorta di "direttore artistico", redigono tutte le parti del racconto/romanzo. La creazione del testo avviene attraverso la compilazione, da parte di ciascun autore, di schede, ognuna delle quali riguarda un aspetto della produzione (un personaggio, un luogo, una scena, ecc.).

La scrittura industriale collettiva non consiste, dunque, in una semplice divisione del lavoro, ma, attraverso un'innovativa modalità di composizione, genera una vera e propria rete di scrittori.

L'utilizzo di tale metodo narrativo, che sinora ha prodotto in Italia diversi racconti e un romanzo a ben 230 mani, conferisce pertanto un tocco di originalità a "Fuori dal buio", che rappresenta un primo, valido esperimento di scrittura condivisa da parte di detenuti. Con "Fuori dal buio" i principi della stesura partecipata di un testo hanno trovato concreta applicazione grazie alla appassionata supervisione della giornalista Cecilia Marzotti che, senza alterare l'originalità dei contributi individuali e delle illustrazioni che fanno da corredo al testo, ha coordinato gli scrittori in erba nella redazione dell'elaborato finale.

Il libro, la cui trama si snoda tra realtà e finzione, narra la storia di quattro uomini che si incontrano per caso in una località di villeggiatura e incrociano sulla loro strada un personaggio losco che li condurrà a varcare i cancelli di un carcere; tutti, simultaneamente, paiono essere vittime di un ineluttabile destino, ma alla fine riescono a prevalere sulla malasorte e si ritrovano "fuori dal buio", animati dalla prospettiva di un futuro più roseo.

"La scrittura in carcere - ha detto il direttore del carcere Sergio La Montagna - assume una valenza, a mio parere, terapeutica, oserei dire catartica: attraverso di essa i detenuti hanno l'opportunità di raccontare, ma soprattutto di raccontarsi. Spesso lo fanno per rimuovere il loro passato, per chiuderlo in un cassetto e nel contempo per dar voce alle proprie ragioni.

Anche in carcere è quindi possibile creare un tempo ed uno spazio in cui prendere la parola e coscienza della propria esistenza. Iniziative come quella del carcere da me diretto e che fioriscono in tanti istituti della pena della Repubblica hanno lo scopo precipuo di fare luce su una realtà troppo spesso dimenticata; servono a ridare dignità a persone che si avvalgono anche della scrittura per dare un senso al tempo della pena. Perché come dice Tabucchi "La letteratura può essere il mezzo per caricare di senso una cosa di per sé insensata come l'esistenza".