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di Ornella Favero

 

Il Mattino di Padova, 3 gennaio 2011

 

Trascorrere la notte di Capodanno in galera, passando da cella a cella, a parlare con le persone detenute: Marco Pannella e la parlamentare radicale Rita Bernardini l’hanno già fatto l’anno scorso nel carcere Due Palazzi di Padova, e da “recidivi” sono rientrati al Due Palazzi la notte del 31 dicembre 2010.

Io lì ci entro già ogni giorno, da volontaria, e non ne avevo nostalgia nell’ultimo giorno dell’anno, ma poi ho deciso che se i radicali non tradiscono mai la loro idea di fondo, di essere presenti sempre nei luoghi dove ci sono sofferenza e violazione della legalità, come sono oggi le carceri italiane, io non volevo tirarmi indietro. Anche per testimoniare che, se un anno fa avevamo già raccontato la desolazione del sovraffollamento, quest’anno dobbiamo registrare che il degrado è andato avanti, l’anno è stato orrendo, e nella Casa di reclusione, dove pure c’è un impegno costante di direzione, operatori, volontari, cooperative per far funzionare un carcere, che a breve arriverà a mille detenuti, al posto dei 350 previsti, ci sono stati tre suicidi e una morte “poco chiara”, quella di Graziano, un detenuto che per mesi lamentava dolori atroci alla schiena, in tanti non gli hanno creduto, finché una notte d’agosto è rimasto paralizzato, è stato ricoverato e operato subito: tumore ai polmoni, arrivato ormai alla spina dorsale.

 

Com’è cresciuta in un anno l’area della “detenzione sociale”

 

La sera del 31 inizia così: “cenone” con i detenuti del Polo universitario, e poi visita a tutte le sette sezioni. Cominciamo con la quinta, dove stanno i “lavoranti”: quinta e Polo universitario sono il fiore all’occhiello, da una parte i detenuti che studiano, dall’altra quelli che lavorano, alla pasticceria, nei call center, alla legatoria. Ma l’amara verità è che in quelle due sezioni i detenuti hanno un po’ di soldi, e quindi sono stretti dentro, ma con qualche piccola consolazione: le pareti ridipinte, a spese loro, le tendine colorate, tanti piccoli dettagli che “fanno casa”. Poi scendiamo al quarto e al terzo piano, e mi stringe lo stomaco una sensazione di vuoto: muri sporchi, pareti scrostate, docce coperte di muffa, mancano le risorse per pulire e riaggiustare. Ci affacciamo alle celle, e dentro ci stanno tanti ragazzi giovani, immigrati che hanno bisogno disperato di un lavoro per pagarsi almeno il sollievo di una sigaretta o di una telefonata a casa, tossicodipendenti con le facce addormentate dalla “terapia”, quelle gocce per dormire che sono gli unici farmaci che in carcere non si negano a nessuno. Di notte forse si riesce a percepire di più questa idea di un carcere, dove cresce quella che è stata definita la “detenzione sociale”: persone che vivono ai margini, che hanno problemi di povertà, ma anche di disagio mentale, di dipendenza da alcol e sostanze, e invece che trovare  nella società un aiuto, trovano il carcere.

 

Le carceri dell’assenza di qualsiasi speranza

 

Marco Pannella e Rita Bernardini ascoltano, prendono nota di problemi, ma sono persone oneste: quindi non fanno promesse, non fingono di avere più potere di quello che hanno, l’unica cosa che possono garantire è una capacità di essere sempre in prima linea nella tutela dei diritti. E oggi sono tanti i diritti che nelle carceri italiane sono poco rispettati, primo fra tutti quello alla salute. Dai racconti di molti detenuti, si capisce che chi si ammala ha una sensazione di totale impotenza, i tempi di attesa sono spesso lunghissimi, a volte è difficile anche essere creduti. Oggi, la competenza per la salute dei detenuti non è più del Ministero della Giustizia, ma del Sistema sanitario nazionale, un detenuto malato, dicono, ha gli stessi diritti di un cittadino libero. Naturalmente, anche i “cittadini liberi” a volte devono aspettare tempi lunghissimi per fare degli esami importanti: ma c’è una verità brutale che fa la differenza, se il tuo medico curante ti prescrive delle analisi con urgenza, tu ci vai con le tue gambe, lotti per la tua salute, hai un medico che si occupa di te, in carcere sei un numero di matricola, stai in cella e aspetti: aspetti che ti carichino in un blindo e ti portino a fare una risonanza magnetica, che ci sia la scorta, che qualcuno si ricordi che sei una persona spaventata e bisognosa di attenzioni come tutti i malati.
Uscendo dall’infermeria nella notte di Capodanno, abbiamo anche incrociato un’infermiera che ci ha detto: da domani al Due Palazzi non ci sono più infermieri, abbiamo dato tutti le dimissioni, ci vogliono pagare ancora meno, non siamo più in grado di vivere con quello che ci danno. Forse si è aperto un altro fronte di incertezza, nella situazione già pesante di chi è malato in galera.

 

Che senso ha un carcere-parcheggio?

 

Quelle celle che percorriamo con lo sguardo, nel buio, unico luogo di silenzio nella notte rumorosa di Capodanno, sono spazi irrisori che ospitano, al posto di una, tre persone, molte parcheggiate lì dentro senza far niente da mattina a sera. E questo prima di tutto per soddisfare il bisogno della politica di convincere i cittadini che solo il carcere crea sicurezza. No, non è vero, e forse visitando un carcere di notte salta agli occhi la nuda verità: che queste carceri non possono far uscire persone migliori, anzi, le possono solo peggiorare e incattivire. Il desiderio di punire non dovrebbe accecarci, sarebbe ora che il nostro Paese tornasse a parlare di pene sensate, che non sono necessariamente la galera e basta. E per carità, spero che nessuno dica ancora: che vadano a lavorare! Non c’è detenuto che non vorrebbe lavorare o fare qualche attività, solo che il lavoro e le attività alla reclusione di Padova, che pure è un carcere fra i migliori in Italia, bastano per 350 persone, quelle che dovrebbero effettivamente esserci, ma con 850 detenuti, gli altri 500 sono, come ha detto un detenuto, “macchine rotte che nessuno fa niente per riparare”.

Il personale che incontriamo, soprattutto Polizia Penitenziaria, è quello testimonia che carceri in queste condizioni, dove anche lavorare è desolante, sono luoghi desertificati: deserto di aspettative, di affetti, di futuro. In una cella, insieme a due detenuti albanesi, incontriamo un ragazzo, uno studente universitario padovano. Se ogni cittadino capisse che potrebbe capitare anche a casa sua che un figlio, un fratello, un cugino finisse in carcere, forse guarderebbe al carcere della sua città con occhi diversi.
Questo Capodanno al Due Palazzi lo vogliamo dedicare a Graziano Scialpi, nella speranza che di storie come la sua non ne avvengano più, e chi entra in carcere non rischi anche di perdere, oltre alla libertà, la vita.


La delegazione radicale, che ha visitato la Casa circondariale e poi ha passato la notte di Capodanno nella Casa di Reclusione, era composta da Marco Pannella, Rita Bernardini, parlamentare eletta nelle liste del PD, Matteo Aloisi, Maria Grazia Lucchiari e un tecnico di Radio Radicale. Per Ristretti Orizzonti, Ornella Favero