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di Luigi Rintallo

 

Agenzia Radicale, 3 gennaio 2011

 

A dirla chiaramente, non sono tra coloro che spasimano per vedere a ogni costo Cesare Battisti nelle patrie galere. Non certo perché provi simpatia nei suoi confronti: anche il più sprovveduto dei supplenti, avendo di fronte un tipo simile fra i suoi alunni, saprebbe immediatamente classificarlo fra gli arroganti e i violenti.

Non occorrono davvero le sentenze che lo condannano per omicidio per capire chi sia Cesare Battisti. Che diversi cosiddetti intellettuali si siano spesi per difenderlo, testimonia soltanto la loro malafede, perché è impossibile immaginare lo facciano in quanto riconoscono in lui una persona meritevole di difesa. Al pari del presidente brasiliano, usano Battisti come un mezzo. Per Lula tutelare Battisti significa compiacere la Francia (che Battisti ha protetto sia durante la permanenza a Parigi, sia quando ne ha favorito la fuga in Brasile) e forse far dimenticare che il suo mandato presidenziale è stato in forte contrasto con quella politica di sinistra annunciata al suo esordio. Per gli intellettuali, italiani ed europei, della sinistra salottiera il sostegno all’ex delinquente di Cisterna Latina è soltanto un modo per rivivere la febbre pseudo - rivoluzionaria e rimestare nel torbido per lanciare le loro accuse agli avversari politici del momento.
Il fatto è che non convincono i discorsi che vanno facendosi attorno al caso della mancata estradizione. Quello di cui si accusa oggi il Brasile, altre volte è stato fatto da altri paesi. Inclusa l’Italia, che in più occasioni ha mancato le promesse verso altre nazioni nella gestione di detenuti (dai terroristi palestinesi fino al caso Baraldini, consegnataci dagli Usa per scontare in prigione la sua pena e poi scarcerata). Il Brasile, se non intende consegnarci Battisti, non fa altro che replicare un comportamento già assunto in altre occasioni sia con imputati di mafia che di terrorismo. Il problema è piuttosto nelle motivazioni addotte per la mancata estradizione, laddove si lascia intendere che in Italia ci sia un regime alla cilena capace di “uccidere” Battisti. Puro vaniloquio, se si guarda a come sono stati in genere trattati gli imputati di terrorismo: quasi tutti in libertà o affidati ai servizi sociali.
Al vaniloquio, sia detto senza offesa, è da ascrivere anche l’atteggiamento di chi evoca giustizia per le vittime dei delitti di Battisti: quasi che la sua mancata cattura sia un fatto unico o eccezionale. Si è tenuto conto, forse, delle vittime quando si è evitato il carcere ai complici degli assassini di Tobagi? Non altrettanto severa fu la magistratura nei confronti di Caterina Rosenzweig, coinvolta nel delitto Tobagi a giudizio dei carabinieri di Dalla Chiesa, che riuscì a evitare persino l’incriminazione.
Della Rosenzweig Benedetta Tobagi, figlia del giornalista ucciso dalla brigata 28 marzo di Marco Barbone e soci, parla nel suo libro Come mi batte forte il tuo cuore in uno dei passaggi (pp. 254 - 59) più contrastanti col tono così controllato del volume, anche se subito si preoccupa di scagionare la procura milanese attribuendone la responsabilità del mancato arresto ai magistrati di Varese. Eppure, una domanda Benedetta Tobagi poteva farsela: perché in dibattimento il pm Spataro allora negò alla parte civile l’ascolto delle intercettazioni delle telefonate intercorse fra Barbone e i suoi amici?
Proprio Armando Spataro che, oggi, si reca in tv per chiedere che Battisti sconti l’ergastolo al quale è stato condannato è lo stesso che pretese la libertà provvisoria immediata per l’assassino di Tobagi, in nome di presunti pentimenti, rivelatisi poi niente affatto determinanti ai fini delle indagini.
Su Cesare Battisti si sta assistendo a un brutto spettacolo, dove chi canta lo fa per lo più in modo stonato. Vale anche per il centro - destra e, in particolare, per la campagna di stampa promossa da alcune testate di riferimento. Anche in questo caso, pare prevalere più l’interesse a conseguire un risultato purchessia in nome del rigore contro l’estremismo che fu, anziché l’obiettiva consistenza politica e giudiziaria del caso. Finendo così per cadere in plateali contraddizioni, perché gli stessi giornali che contestano la magistratura italiana per la parzialità e l’incapacità di dare giustizia, se ne fanno ora paladini e in nome di condanne emanate dopo processi a base di pentiti e responsabilità morali. A dirla tutta non piace questa voglia di galera. Né è così decisivo che lo Stato italiano debba far il diavolo a quattro per vederci finire un miserabile come Cesare Battisti.