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di Concetto Vecchio

 

La Repubblica, 2 gennaio 2011

 

Persichetti, come valuta la mancata estradizione di Cesare Battisti?

“Mancata estradizione? Giusto rifiuto. Me ne rallegro. Il Brasile si aggiunge alla lunga lista di Paesi che non hanno accolto le richieste dell’Italia: Grecia, Svizzera, Francia, Gran Bretagna, Canada, Argentina, Nicaragua, e non cito il Giappone perché mi ripugna, visto che ha dato la cittadinanza al neofascista Delfo Zorzi”.

L’irriducibile Paolo Persichetti, romano, 48 anni, condannato a 19 anni di carcere per la sua partecipazione alle Brigate Rosse della seconda metà degli anni Ottanta - è l’unico terrorista che è stato estradato dalla Francia nel 2002. Aveva trascorso undici anni a Parigi, gli ultimi come ricercatore all’Università. Era sospettato, senza saperlo, dell’omicidio Biagi, accusa che poi cadde. Ma qua è rimasto: detenuto per sei anni. Da due anni è semilibero, a Rebibbia. Collabora con il quotidiano Liberazione.

 

La motivazione di Lula è che tornando in Italia l’incolumità di Battisti sarebbe a rischio. Lei conosce bene le nostre carceri. Non è una motivazione ridicola?

 

“Guardi che nelle motivazioni si fa soprattutto riferimento all’aggravamento della posizione di Battisti, che finirebbe in un carcere duro nonostante non commetta reati da 30 anni. Nel giudizio dei brasiliani incide poi anche il fatto che nel loro ordinamento non è prevista la pena dell’ergastolo. Soprattutto guardano a quelle vicende con gli occhi della storia, come da tempo dovremmo fare anche noi. Noi al contrario vogliamo regolare ancora dei conti in termini giudiziari invece che affrontare gli anni di piombo con un atto di chiusura politica”.

 

Ma Battisti non ha scontato un solo giorno di carcere per i quattro omicidi. Le sembra eticamente sostenibile in uno Stato di diritto?

 

“Ma tra Italia, Francia e Brasile, per altri reati, ha scontato cinque, forse sei anni. Certo, è una piccola parte rispetto all’ergastolo”.

 

C’è di più: Battisti si è sottratto ai processi, fuggendo prima in Messico e poi in Francia.

 

“Era un suo diritto”.

 

Le pare che questa è giustizia?

 

“Cosa vuol dire giustizia? Battisti è sfuggito alle leggi emergenziali di quel decennio. Le faccio notare che quando, nel 2004, le autorità francesi decisero di estradarlo in Italia lo fecero perché il nostro governo promise loro che gli avrebbe rifatto i processi, visto che le condanne erano state comminate in contumacia. Era chiaramente una promessa di marinaio”.

 

Infatti Battisti preferì scappare di nuovo, in Brasile. E le vittime aspettano da 30 anni: provi a mettersi nei loro panni.

 

“Lo faccio spesso. Ho incontrato Sabina Rossa per un’intervista ed è stata un incontro doloroso, difficilissimo, avevo paura di sbagliare un solo aggettivo. Dopodiché non credo che la presenza in carcere di Battisti risarcisca i parenti dal loro dolore. Insisto: questo Paese non sa rielaborare il proprio passato, lo strumentalizza continuamente. Risultato: la piaga rimane sempre aperta”.

 

Che ricordo ha di Battisti?

 

“L’ho incrociato spesso in Francia, anche se avevamo giri diversi. Un personaggio simpatico, guascone, che viene da una famiglia proletaria. Ho conosciuto anche i suoi famigliari, persone oneste che si sono sempre ammazzate di fatica. Cesare era un ragazzo ribelle, che poi ha politicizzato la sua ribellione, come tanti di quella generazione”.