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L’Unione Sarda, 3 gennaio 2011

 

Attenta strategia difensiva e solidarietà. Passa su questi binari il futuro di don Giovanni Usai e del Samaritano, la comunità messa in piedi dal sacerdote nel 2002. I legali sono al lavoro per spulciare i faldoni con le pesanti accuse di favoreggiamento della prostituzione e violenza sessuale. A breve dovrebbe essere presentata la richiesta di revoca degli arresti domiciliari che il sacerdote, originario di Assolo, sta scontando nel convento dei Cappuccini a Oristano dal 28 dicembre scorso. E intanto è scattata una vera gara di solidarietà per la comunità che accoglie circa venti detenuti: i viveri iniziano a scarseggiare, in particolare dopo il recente sequestro di attrezzature e cibo in cattivo stato di conservazione da parte dei Nas. I volontari della Caritas ma anche tanta gente comune sono in prima linea per portare aiuto.
Da subito hanno parlato di “accuse infondate”. Adesso i legali Anna Maria Uras e Francesco Pilloni dovranno studiare attentamente ogni dettaglio per smontare l’impianto accusatorio. “Stiamo valutando la possibilità di presentare l’istanza di riesame della misura cautelare al Tribunale della libertà di Cagliari”. Dieci giorni di tempo da quando sono scattati gli arresti domiciliari. I legali non parlano di chissà quali disegni per screditare il fondatore del Samaritano, ma ovviamente insistono sui riscontri e sulle prove che andranno valutate accuratamente. Le accuse sarebbero partite dalla denuncia di una ragazza nigeriana che lavorava al Samaritano e che avrebbe avuto una relazione con un ragazzo che non sarebbe stato “aiutato” proprio da don Giovanni Usai. Dopo l’esposto sono scattate le intercettazioni che inchioderebbero il sacerdote ma che, sempre secondo la difesa, andranno interpretate e valutate con attenzione.
Così come si dovranno vagliare con cautela le dichiarazioni di altri quattro testimoni. Persone che conoscerebbero bene la vita al Samaritano e che, sentite dagli inquirenti, non hanno certamente risparmiato don Usai. Testimonianze che al momento sembrerebbero isolate tra le duemila persone, detenuti ed extracomunitari che negli ultimi cinque anni si sono alternati nella comunità, alle porte di Arborea. Un centro di recupero che, proprio perché ospita reclusi, quotidianamente riceve la visita delle forze dell’ordine per i controlli di routine. Si tratta di un’area di 40 ettari aperta e facilmente accessibile. Ai legali sembra quasi impossibile che su tutto dovesse vigilare don Usai, e che nessuno avesse mai notato niente. Diversi aspetti, dunque, fanno pensare a un quadro indiziario viziato da elementi di sospetto. Che poi dietro ci possa essere un complotto contro il sacerdote e la comunità o un tentativo di scaricare le responsabilità è tutto da dimostrare.
Da giorni al Samaritano è un continuo viavai di persone che, oltre a portare parole di solidarietà, donano viveri per i ragazzi (carne, pasta e olio). Se è vero, infatti, che non tutti gradivano la presenza di un “carcere alternativo” a pochi passi da casa, è altrettanto vero che moltissimi hanno sempre apprezzato l’attività del centro. Tra gli ospiti, intanto, c’è preoccupazione per il futuro della struttura, ma sembra ormai certo che continuerà la sua attività come lo stesso don Usai si è augurato al momento del blitz dei carabinieri. A giorni potrebbe essere nominato un commissario per gestire la comunità durante l’assenza del suo fondatore.
L’arcivescovo Ignazio Sanna dopo aver espresso tutta la propria vicinanza a don Giovanni Usai, ha fatto sapere che presto andrà a trovarlo. Sarà un incontro privato e carico di emozione. Intanto, è stato nominato anche un supplente per l’assistenza spirituale al carcere di piazza Manno, dove il sacerdote da circa un anno ricopriva il ruolo di cappellano.