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di Sandro Padula

 

Ristretti Orizzonti, 9 dicembre 2010

 

Il ddl Alfano, approvato dalla maggioranza di centrodestra e riguardante “l’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a un anno”, è secondo Marco Travaglio un “indultino mascherato” (Il Foglio, 7 dicembre 2010) dal quale sarebbero esclusi solo i condannati per mafia, terrorismo e omicidio.

No. Non è vero. Questa tesi di Travaglio è del tutto infondata. Il ddl Alfano è solo un microscopico mezzo per contrastare l’aumento della sovrappopolazione carceraria. Non è paragonabile neppure al più piccolo degli indulti: prevede il parere discrezionale del magistrato di sorveglianza e, oltre ad escludere i soggetti condannati per taluno dei delitti indicati dall’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, non può essere applicato ai soggetti dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai soggetti sottoposti al regime di sorveglianza particolare e ai soggetti cui è già stata revocata la detenzione domiciliare. In sintesi, è un piccolo beneficio premiale che, fra l’altro, contempla un inasprimento della pena per il reato di evasione.
Travaglio non si limita però soltanto a ignorare le caratteristiche giuridiche del provvedimento targato Alfano. Nel suo articolo invita a fare attenzione: “già oggi i detenuti possono scontare gli ultimi due anni di pena agli arresti domiciliari e gli ultimi tre in affidamento al servizio sociale, cioè liberi.” Poi sintetizza il proprio ragionamento con le seguenti parole: “insomma, per finire dentro e restarci bisogna proprio fare una strage”.
No. Anche questa tesi è completamente sbagliata. L’eventuale fatto di scontare gli ultimi due anni di pena agli arresti domiciliari e gli ultimi tre in affidamento sociale, come prevede la legge Gozzini del 1986, è sempre a discrezione del magistrato di sorveglianza. Diversi tipi di condannati sono esclusi dal beneficio degli arresti domiciliari, fatta eccezione per coloro che versano in gravi condizioni di salute, e sempre dall’affidamento al servizio sociale. Infine, ma non per importanza, la quasi totalità delle decine di migliaia di persone che finiscono in carcere e ci restano, anche a lungo e al contrario della diffamatoria affermazione sopra citata, non hanno mai compiuto una strage.
Travaglio, ad ogni modo, prosegue imperterrito, come se non avesse il benché minimo dubbio sulla validità delle proprie affermazioni.
L’effetto del provvedimento, secondo il giornalista, sarebbe “un’ondata di scarcerazioni (usciranno chi dice 2 mila, chi 7 mila, chi 12 mila carcerati su 70 mila) che per giunta, non essendo accompagnata da investimenti per reinserire gli ex detenuti nella società, li porterà a tornare a delinquere, con un aumento dei reati e dell’insicurezza sociale. Il tutto a opera del centrodestra, sempre pronto ad accusare il centrosinistra di “mettere fuori i delinquenti”.)”, ma pure qui la falsità è smascherabile in un batter d’occhio.
I detenuti condannati, tranne gli ergastolani, hanno fine pena diversi e con date specifiche. Nessuno si accorgerà delle scarcerazioni a contagocce. D’altra parte, non esistono al momento dati previsionali attendibili. Le cifre di cui parla Travaglio, senza per altro citarne la fonte e di fatto riferite a persone da scarcerare fino al 2013, sono talmente diverse fra loro da negarsi a vicenda!
È vero che lo Stato non accompagna il provvedimento con misure finanziarie a favore del reinserimento degli ex detenuti nella società, ma ciò non significa automaticamente che i condannati beneficiari dei suddetti arresti fra le mura domestiche debbano tornare a delinquere.
È altrettanto vero che il Pdl e la Lega spesso agiscono in modo ipocrita. Sappiamo bene che in campagna elettorale avevano alzato la bandiera della “certezza della pena” e della “tolleranza zero”, ma non possiamo permetterci il lusso di criticarli tanto per criticarli. Oggi hanno espresso una piccolissima opzione diversa dalle solite politiche forcaiole e questo, senza dubbio, è un fatto di progresso. Piccolissimo, quasi impercettibile, specie agli occhi di chi conosce il carcere dall’interno, ma concreto.
Ciò che merita di essere criticato in ogni circostanza e, al di là della provenienza politica, è invece il populismo penale, un fenomeno diffuso in Italia fra coloro che non conoscono nulla del sistema carcerario, del codice di procedura penale, della riforma del 1975, della Legge Gozzini e del carattere liberticida e antiquato del codice penale italiano del 1930.
Uno dei massimi propagandisti del populismo penale in Italia è proprio Marco Travaglio. Se perciò quest’ultimo giudica negativamente la possibilità che, per una parte dei condannati, l’ultimo anno di pena detentiva si svolga agli arresti domiciliari, vuol dire che il Parlamento ha approvato qualcosa di utile e non certo dannoso.