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di Luca Zevi

 

Il Manifesto, 9 dicembre 2010

 

“Ci occupiamo di carceri per occuparci di giustizia” (e, forse, di giustizia sociale, si può aggiungere). Con queste parole Franco Corleone, animatore de “La società della ragione”, sintetizza il senso e l’urgenza del convegno “Architettura versus Edilizia: quali spazi per la pena secondo la Costituzione?”, organizzato in collaborazione con “Antigone”, “Fondazione Michelucci” e “Forum Droghe” il 2-3 dicembre scorsi al Senato.

Un’iniziativa resa urgente da un’acutizzazione della situazione carceraria tanto dal punto di vista della condizione interna agli istituti di pena (come hanno sottolineato Anna Finocchiaro e Sandro Margara), quanto da quello dell’iniziativa governativa attraverso il “piano carceri”, quanto ancora da quello dell’inerzia, quando non della complicità, delle forze di centro-sinistra (Patrizio Gonnella).
Con un approccio “concentrazionario” si guarda oggi alla devianza sociale, ma anche all’immigrazione clandestina e perfino all’alloggio provvisorio degli abitanti delle aree centrali de L’Aquila, con le “nuove città” trionfalmente sbandierate dal Presidente del Consiglio (Sonia Paone).
La penalizzazione, che agisce oggi come una sorta di Leviatano dell’attuale era “liberale” - con l’affermazione perentoria di un “prisonfare” in sostituzione di un welfare drammaticamente “passato di moda” - rappresenta un pesantissimo assalto alla dignità della persona, presupposto del costituzionalismo moderno, da cui invece bisogna ripartire (Eligio Resta).
Del “piano carceri” del governo si sono documentati il carattere velleitario, in termini di compatibilità economica, e l’inefficacia, sul piano dei risultati anche solo quantitativi in termini sovraffollamento delle carceri (Stefano Anastasia). L’auspicato aumento della capienza dei penitenziari viene concepito esclusivamente come “iperdensificazione” degli istituti, attraverso la saturazione degli spazi oggi destinati al verde e alle attività lavorative e ricreative (Corrado Marcetti).
La cultura architettonica sembra non accorgersi di come vengono elaborati i capitolati d’appalto per la realizzazione di nuovi centri di detenzione: grandissima attenzione ai dettagli costruttivi, nessuna a una qualità della vita decorosa (Cesare Burdese). Alla stagione innovatrice dell’edilizia carceraria, sviluppatasi dal secondo dopoguerra fino all’approvazione della legge di riforma del 1975, è seguita immediatamente l’età dell’emergenza e, con essa, il tramonto di ogni tentativo di umanizzazione della pena, di configurazione di nuove prigioni sul modello del campus universitario piuttosto che del penitenziario tradizionale (Leonardo Scarcella).
La seconda giornata, inaugurata dalla denuncia del persistente valore nobilitante attribuito dalla società alla sofferenza fisica (Adriano Sofri), è stata caratterizzata dalla documentazione della persistente insensibilità al tema dell’affettività dei detenuti (Francesco Maisto e Grazia Zuffa) e, soprattutto, del progressivo disinteresse tanto nei confronti delle misure alternative alla detenzione rivolte ai tossicodipendenti (Maria Stagnitta e Patrizio Gonnella), quanto della carcerazione per le persone in attesa di giudizio (Vittorio Borraccetti e Guido Calvi).
Capovolgendo l’approccio oggi in voga, il convegno si è concluso riaffermando con forza come il problema del sovraffollamento delle carceri vada affrontato anzitutto con la fuoriuscita dal carcere (e l’affidamento sul territorio) di tutti quei soggetti - in primo luogo tossicodipendenti ed emigranti clandestini - per i quali la reclusione non può che allontanare il reinserimento nella società (Franco Corleone).
Per i condannati si deve continuare a auspicare la promozione di un modello di istituto di pena responsabilizzante anziché, com’è oggi, infantilizzante (Mauro Palma).
Pur a fronte di un’azione governativa gravemente lesiva dei diritti delle persone - e di un sostanziale disinteresse delle forze “progressiste” - sono state illustrate infine esperienze significative di umanizzazione della vita carceraria, presenti per fortuna su tutto il territorio nazionale, dovute all’iniziativa individuale di funzionari e di volontari (Sebastiano Ardita).