sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

Il Sole 24 Ore, 9 dicembre 2010

 

Non basta una sentenza penale, neppure passata in giudicato e nonostante sia relativa a reati commessi nel contesto della separazione, a giustificare l’affidamento esclusivo a uno solo dei genitori. Alla regola generale dell’affidamento condiviso, ha stabilito ieri la Sesta sezione civile della Cassazione (24841/10), si può infatti derogare solo se la sua applicazione risulti “pregiudizievole per l’interesse del minore”.
Il caso portato davanti ai giudici di legittimità riguardava una giovane madre pugliese accusata di calunnia nei confronti del convivente, padre dei suoi figli, e poi anche condannata in primo grado; la donna aveva denunciato il partner per abusi sessuali sulla figlia di tre anni, pur sapendolo innocente.
Sulla scorta di quella pronuncia il tribunale dei minorenni aveva affidato i due figli maschi al padre e la bimba alla mamma, mentre la Corte d’appello aveva poi reintegrato entrambi i genitori nellapotestà genitoriale dei tre figli, ma affidato la prole in via esclusiva al padre. Secondo la Sesta civile, però, il giudice di appello in quel modo aveva posto a fondamento della propria decisione
fatti lontani nel tempo, non ancora cristallizzati in un provvedimento definitivo, ma soprattutto senza dimostrare perché “quelle vicènde renderebbero, in rapporto all’attualità, del tutto evidente l’inidoneità della madre a svolgere adeguatamente e responsabilmente il ruolo materno”. Invece il giudice, al momento di derogare al regime standard di affidamento condiviso, è tenuto a motivare “non più solo inpositivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell’altro genitore”, come prevede una giurisprudenza ormai costante (16593/2008 e 26587/2009). Pertanto le vicende intercorse tra i due ex conviventi, “anche se strettamente correlate al loro ruolo di genitori e ai loro rapporti con i figli” non sono sufficienti a sorreggere l’affidamento esclusivo, tantomeno a sostenere, come fa “apoditticamente” la corte di merito “il grave pregiudizio che la piccola ha subito e subirebbe rimanendo affidata alla madre”.