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Il Centro, 9 dicembre 2010

 

Il giudice riapre il caso Castrogno. L’inchiesta sul pestaggio di un recluso e sull’audio shock con la frase “un detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto” non sarà archiviata. Almeno per i prossimi sei mesi. Il giudice per le indagini preliminare Marina Tommolini, infatti, ha respinto la richiesta di archiviazione presentata dalla procura per l’ex comandante della polizia penitenziaria Giuseppe Luzi e per cinque agenti, accogliendo l’opposizione fatta da Mario Lombardi , il detenuto che accusa di essere stato pestato in carcere.
È stato proprio lui, da qualche tempo trasferito in un’altra struttura, ad opporsi attraverso il suo legale Filippo Torretta all’archiviazione chiesta dal pubblico ministero David Mancini (attualmente in servizio all’Aquila). Il giudice, dunque, ha sciolto la riserva con cui qualche giorno fa aveva concluso la camera di consiglio comunicando alle parti di chiedere nuove indagini sul caso finito sulle prime pagine de i giornali nazionali. Lombardi, 46 anni, ha sempre sostenuto di essere stato picchiato da alcuni agenti di polizia penitenziaria di Castrogno come atto di ritorsione per una sua resistenza nei confronti di un poliziotto: caso per cui l’uomo è stato rinviato a giudizio ed attualmente è a processo.
Da qui quel presunto pestaggio. Mancini, dopo mesi indagini, ha chiesto l’archiviazione per l’ex comandante della polizia penitenziaria Luzi e cinque agenti, sottolineando e rimarcando nel provvedimento l’impossibilità di poter dimostrare i fatti per l’omertà registrata proprio nell’ambiente carcerario.
L’ex comandante, per cui qualche giorno fa è stata revocata la sospensione, subito dopo l’esplosione del caso, aveva ammesso che era sua la voce che si sentiva nel colloquio shock registrato sul cd. E lui che dice: “Il detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto. Abbiamo rischiato una rivolta perché il negro ha visto tutto”.
Quel testimone era Uzoma Emeka, detenuto nigeriano morto in carcere un mese dopo i fatti, stroncato da un tumore al cervello non diagnosticato. E l’avvocato Torretta, nella sua richiesta di opposizione, ha chiesto al giudice d’ascoltare la moglie di Emeka per sapere quello che lui le ha raccontato dell’aggressione vista. La donna, qualche giorno fa, sentita come teste in un’udienza del processo a Lombardi ha detto: “Mio marito era in carcere e mi disse di aver visto picchiare un detenuto”. Una testimonianza che getta altre ombre su un caso che il giudice, per ora, ha deciso di non archiviare.