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di Luca Baccelletti

Il Giornale, 29 ottobre 2010

Sono nella memoria di ciascuno di noi le notizie di cronaca che con cadenza settimanale, se non giornaliera, parlano di suicidi negli istituti di pena italiani. Una realtà dura quella del carcere, aggravata da un sovraffollamento che produce nei detenuti condizioni di alienazione e disagio psicologico devastanti e che mina la possibilità di un reinserimento sociale. Nel passato, anche recente, ogni qualvolta il numero dei detenuti diventava oggettivamente ingestibile, si preferiva un’amnistia o un indulto generale (ben 30 negli ultimi 60 anni) invece di affrontare concretamente un problema divenuto dramma costante. E per questi motivi che Maria Elisabetta Alberti Casellati, sottosegretario alla Giustizia con delega all’edilizia carceraria, si trova ad affrontare e risolvere il sovraffollamento cronico egli istituti di pena italiani.

Il recente piano varato dal governo prevede una riforma strutturale del settore con un investimento di 600 milioni di euro per aumentare la ricettività dei 360 istituti i pena, potenziare gli effettivi di polizia penitenziaria, contestualmente, ripristinare quelle condizioni minime di umanità che spettano a qualunque persona. Quali sono i numeri dell’emergenza carceri in Italia?

“Oggi i detenuti sono poco più di 68mila su una capienza regolamentare di 44.608 posti e una tollerabilità stimata in 67mila unità. Le cifre parlano chiaro: ci troviamo di fronte a una situazione di sovraffollamento della popolazione carceraria che provoca un grave disagio personale e sociale, tant’è che abbiamo dichiarato lo stato di emergenza. Bisogna rilevare, però, che la crescita annuale degli ingressi in carcere si è ridotta rispetto al 2008, del 17% nel 2009 e, dato numericamente ancora più significativo, del 62% con riferimento al maggio del 2010. Dati che confortano, ma che non fanno abbassare l’attenzione, che resta massima. Misure come l’indulto che negli ultimi 60 anni sono state adottate per svuotare le carceri - nonostante il valore morale che può essergli attribuito, quale precipitato istituzionale di una virtù come la clemenza - non sono oggi socialmente accettate e non sono perciò ripetibili. Urgono perciò risposte precise, efficaci e non dilazionabili”.

Quali misure intende adottare il governo?

“Il governo ha varato un piano strutturale che poggia su tre pilastri fondamentali: gli interventi di edilizia penitenziaria per la costruzione, in prima battuta, di 47 nuovi padiglioni e successivamente di 8 nuovi istituti; gli interventi normativi che introducono la possibilità della detenzione domiciliare per chi deve scontare solo un anno di pena residua; l’assunzione di 2.000 nuovi agenti di Polizia penitenziaria, per cercare di ridurre i tanti disagi del personale che quotidianamente si adopera con sacrificio per l’assistenza dei detenuti. Stiamo poi attuando accordi bilaterali con vari Stati per far sì che gli stranieri scontino la pena nel loro Paese d’origine”.

Esistono delle concrete possibilità per un reinserimento in società al termine del carcere?

“E giusto che il detenuto saldi il suo debito nei confronti dello Stato e delle vittime del reato; è importante però che lo stesso sia messo nelle condizioni di non tornare a delinquere una volta lasciato il carcere. La certezza della pena e l’espiazione degli errori sono elementi cruciali per la tenuta di una società, ma la privazione della libertà non è fine a se stessa perché funzionale alla rieducazione. Questa è la missione di uno Stato moderno, questo è ciò che contraddistingue una nazione civile. La riabilitazione è un percorso complesso che comprende gli aspetti del lavoro, della cultura e della formazione”.