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di Alessandra Lezzi

Gazzetta del Mezzogiorno, 23 ottobre 2010

Chiunque soffra di tubercolosi polmonare, nel momento in cui tossisce, starnutisce o anche solo parla, espelle delle goccioline (uno starnuto può rilasciare sino a quarantamila particelle), ognuna delle quali è in grado di trasmettere la malattia. Facile quindi immaginare il livello di preoccupazione e di tensione che si vive in questi giorni all’interno del già sin troppo pieno di problematiche carcere di Lecce.
Un vero e proprio stato di allarme se si considera che a registrare un’infezione da tubercolosi è un infermiere in servizio all’interno del penitenziario, un 51enne residente in un paese vicino Lecce. L’uomo naturalmente, appresa la notizia, è stato messo in malattia, ma il suo ruolo all’interno di Borgo San Nicola e la stessa possibile origine della contaminazione determinano una certa giustificabile ansia. Sarà quindi necessario stabilire e sottoporre ad esami approfonditi tutti coloro che hanno avuto contatti con l’infermiere, dai detenuti (numerosi quelli che quotidianamente si rivolgono all’infermeria interna), e poi colleghi, agenti di polizia penitenziaria, addetti dell’amministrazione, oltre naturalmente agli stessi familiari dell’uomo. Da capire, soprattutto, se a contagiarlo sia stato un detenuto, e se lo stesso sia ancora all’interno del penitenziario del capoluogo salentino oppure no.
E per quanto grave, non è purtroppo l’unica emergenza sanitaria da fronteggiare al di là del cancello di Borgo San Nicola: oltre a quattro detenuti con la varicella, ce ne sono altri quattro affetti da scabbia. Per loro è stato predisposto l’isolamento sanitario: ossia vengono messi all’interno di celle singole, alle porte delle quali viene chiuso persino lo spioncino e lasciata 24 ore su 24 aperta invece la piccola finestra con le grate che dà all’esterno. L’accesso è consentito naturalmente al personale medico attrezzato di guanti e camici monouso.
E così dopo il sovraffollamento che di giorno in giorno supera il suo stesso record, con un numero di detenuti che ha sfiorato le 1.500 presenze, a fronte delle 650 per cui il penitenziario è stato costruito, dopo le carenze dell’impianto idrico e di quello elettrico, senza dimenticare quelle non meno importanti del personale di polizia penitenziaria, dopo i tentativi di suicidi, le aggressioni, gli atti di autolesionismo, gli scioperi della fame, ci mancava solo un’emergenza sanitaria come questa.
E mentre appare evidente che nessuno ha dato credito non solo alle richieste di attenzione che venivano da dietro le sbarre, ma neanche al richiamo alle responsabilità da parte dello stesso arcivescovo, monsignor Domenico D’Ambrosio, la Uil Penitenziaria, guidata da Donato Montinaro, si riunisce a Bari e snocciola dati, davanti al deputato già sottosegretario alla Giustizia, Luigi Vitali, che si lascia scappare un impegno: un nuovo padiglione per il carcere di Taranto e un nuovo istituto di pena a Bari, pronto in due anni. Sarà vero? E che accadrà nell’attesa?