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di Piero Oddone

La Repubblica, 29 agosto 2010

Il livello di civiltà di un’intera nazione può essere misurato in molti modi: e di tanto in tanto si leggono nei giornali statistiche e classifiche, dalle quali non usciamo, in genere, molto bene. Ma se dovessimo scegliere un solo criterio di giudizio fra i tanti, non esiterei a indicare le prigioni. La civiltà di un Paese si misura dagli istituti di pena, e dalle condizioni di vita dei detenuti.
Ebbene: se questo è vero, l’Italia è un Paese semibarbaro. I giornali se ne occupano quando qualche detenuto commette suicidio. Si viene a sapere, allora, che il numero dei posti disponbili nelle carceri è inferiore al numero dei detenuti. Si pubblica anche qualche descrizione delle condizioni di vita nei penitenziari: sporcizia, promiscuità, sovraffollamento. Dopo di che si passa ad altra notizia, e tutto rimane come
prima. Sull’argomento della detenzione si sono scritti tanti volumi, e dal punto di vista della teoria non siamo agli ultimi posti. Sappiamo che la detenzione ha vari scopi. Serve a punire coloro che hanno violato la legge: delitto e castigo. Dovrebbe inoltre proteggere la società da individui che, lasciati in libertà, rappresentano un pericolo. Poiché un individuo potenzialmente criminale non può essere tenuto in carcere vita natural durante, se non nel caso di ergastolo, la detenzione dovrebbe rieducare l’individuo, e riconsegnarlo alla società migliore di quando è stato condannato.
Chi conosce le condizioni dei penitenziari in Italia sa quanto sia illusoria la funzione educativa: è più probabile che individui tendenzialmente buoni, dopo un periodo in carcere, diventino pessimi. Ma quel che più indigna è il fatto che un’alta percentuale dei detenuti, in Italia, è in attesa di giudizio, quindi da considerarsi innocente fino all’eventuale condanna che, funzionando la giustizia come funziona, verrà quando verrà.
Se l’Italia fosse un paese civile, i suoi governanti non si darebbero pace fino a quando non avessero affrontato il problema delle prigioni. Costruendo nuovi istituti di pena. All’origine della tragedia di cui stiamo parlando è infatti lo squilibrio fra il numero dei detenuti e i posti disponibili. Manca il denaro? Quando è necessario il denaro si trova sempre: non ripubblicherò per l’ennesima volta l’elenco degli sprechi. Ma i nostri governanti ai problemi seri non pensano. E invece di migliorare le condizioni delle prigioni, dedicano tutti i loro sforzi a non finirci essi stessi, come in molti casi meriterebbero.