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Redattore Sociale, 8 luglio 2010

La proposta di legge in discussione unifica e rielabora le tre giacenti in Parlamento a firma Ferranti, Bruggher e Bernardini. Di Mauro (Consulta penitenziaria del comune di Roma): “È un pasticcio”. Non piace alle associazioni che si battono affinché “nessun bambino varchi più la soglia di un carcere” il progetto di legge in discussione in queste settimane in Parlamento. “Se il testo di legge che aspettiamo da tanti anni dovesse essere quello presentato in Commissione giustizia della Camera dall’onorevole Samperi del Pd, è meglio lasciare tutto come sta”, commenta Lillo Di Mauro, presidente della Consulta permanente per i problemi penitenziari del comune di Roma.
Di Mauro è stato ascoltato negli scorsi giorni in Commissione giustizia in rappresentanza dei promotori delle varie campagne contro la permanenza in carcere dei bambini a proposito del testo unificato su “disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”: un progetto di legge che unifica e rielabora le tre proposte giacenti in Parlamento a firma Ferranti, Bruggher e Bernardini. “Il testo unificato prende il peggio di ogni proposta di legge - prosegue il presidente della Consulta penitenziaria. Ne viene fuori un pasticcio”.
Da quasi 15 anni la Consulta penitenziaria del comune di Roma, l’associazione “A Roma insieme” e la Comunità di Sant’Egidio, in collaborazione con numerose organizzazioni del volontariato e del privato sociale, stanno portando avanti una battaglia per evitare qualsiasi forma di permanenza in carcere dei bambini da zero a tre anni, figli di madri detenute. Al fine di evitare il dramma delle separazioni tra mamme e figli, l’attuale normativa prevede infatti che le madri in attesa di giudizio o in esecuzione di pena possano portare con sé i propri piccoli, con l’aberrante conseguenza di un’infanzia e una crescita dietro le sbarre.
Attualmente i bambini in carcere sono 56, “ma non ce ne dovrebbe essere neppure uno”, commenta Di Mauro. “In più occasioni - aggiunge - negli scorsi anni le associazioni hanno presentato ai parlamentari una proposta di legge accompagnata da una petizione popolare che ha raccolto 8 mila firme”.
Ma in cosa il testo presentato in Commissione Giustizia diverge dalla proposta delle associazioni? “La nostra proposta - spiega il presidente della Consulta - prevede case di accoglienza protette (Icam) esclusivamente per donne che hanno compiuto reati molto gravi, quali mafia, terrorismo e infanticidio, e detenzione domiciliare e case famiglia gestite da enti locali per tutti gli altri casi. La proposta Samperi, invece, parla di carcere per le madri accusate di reati molto gravi e di case famiglia protette Icam per tutte le altre”. “Ma bisogna precisare - sottolinea Di Mauro - che le case famiglia protette sono gestite dai direttori degli istituti penitenziari, prevedono la presenza degli agenti di polizia penitenziaria anche se in abiti civili e sono sottoposte alle stesse regole del resto dell’istituto. Insomma, sono carcere a tutti gli effetti”.
“Per non dare un dispiacere alla Lega - continua - dalla proposta unificata è stata poi stralciata la parte che riguardava le detenute madri straniere e prevedeva la non automaticità dell’espulsione”. Cosa, quest’ultima, che per il presidente della Consulta eviterebbe ai bambini “di subire un ulteriore trauma”, Sarebbe stata stralciata, inoltre, anche la norma che rivedeva la cosiddetta legge ex Cirielli sulla recidiva, definita “uno dei motivi ostativi per accedere alle misure alternative”. Per questa ragione - precisa - “i bambini ci saranno sempre in carcere” dal momento che “il 90% delle madri detenute sono rom e straniere che compiono recidive”.
Un ulteriore punto di divergenza tra la proposta delle associazioni e il testo unificato attualmente all’esame del Parlamento riguarda il ricovero dei minori. “Secondo le organizzazioni - chiarisce Di Mauro - il permesso alla madre per accompagnare o fare visita al figlio in ospedale dovrebbe essere concesso direttamente dal direttore della casa protetta. Al contrario, il testo unificato prevede che ad accordare il permesso sia l’autorità locale di pubblica sicurezza. Ciò vuol dire - sottolinea il presidente della Consulta penitenziaria - che il direttore della casa protetta deve informare la Prefettura e il Tribunale di sorveglianza per le opportune verifiche. E i tempi sarebbero tutt’altro che brevi, con buona pace del superiore interesse minore”. Ultima questione, quella relativa alle risorse: “Il testo unificato non prevede alcuno stanziamento di spesa” - commenta il presidente della Consulta -. Quindi la legge non potrebbe comunque essere applicata. Meglio così - conclude - sarebbero tutti soldi sprecati”.