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di Gennaro Grimolizzi


Il Dubbio, 10 febbraio 2022

 

"Non esistono processi che richiedono poco impegno". Il professor Vincenzo Maiello (ordinario di Diritto penale nell'Università degli Studi di Napoli "Federico II) e l'avvocata Maria Licata del Foro di Catania parlano della loro attività difensiva in favore di Raffaele Lombardo, ex presidente della Regione Siciliana, assolto dalla Corte d'appello di Catania dalle accuse di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione elettorale.

"Nel processo Lombardo - dicono al Dubbio - la complessità del lavoro è dipesa dall'imponenza del materiale probatorio e da una imputazione che ha inteso ricondurre a un'unica ipotesi di reato un decennio di competizioni elettorali amministrative e di impegno politico.

Essendo entrambi intervenuti solo in questo grado di giudizio, abbiamo avuto il vantaggio, sopportandone tuttavia anche il peso e la responsabilità, di poter riorganizzare l'enorme mole delle evidenze secondo criteri di selezione coerenti con la tipicità del reato contestato, nei termini sagomati con rigore dalla sentenza rescindente della Corte di Cassazione. La maggiore difficoltà, forse, è stata la grande quantità di prove dichiarative e documentali da riesaminare, confrontare e collocare in una corretta dimensione spazio- temporale, uscendo dalle logiche anarchiche dei precedenti gradi del giudizio di merito che avevano alternato ratio decidendi tra loro asimmetriche, entrambe, a nostro avviso, non condivisibili".

Nei confronti di Raffaele Lombardo si è verificata una "contestazione alluvionale". Il compito della difesa è stato quello di eliminare il "troppo" e il "vano" per richiamare l'attenzione della Corte d'appello di Catania affinché le prove potessero essere messe al centro di ogni argomentazione.

"Per quanto sembri paradossale - evidenziano Maiello e Licata - buona parte delle migliaia di pagine che compongono il processo e delle prove assunte erano del tutto estranee al thema probandum. Va riconosciuto alla sentenza di rinvio della Cassazione il merito di avere perimetrato in termini assai chiari l'oggetto della prova, in relazione all'accusa di concorso esterno mediante patto politico mafioso. Il processo è stato riportato alla sua fisiologica dimensione, la stessa, del resto, già individuata con estremo rigore esegetico nella prima richiesta di archiviazione avanzata della Procura della Repubblica di Catania".

L'odissea giudiziaria di Lombardo ha riproposto l'esigenza di un processo penale fondato sul primato delle garanzie. "Dopo le stratificazioni novellistiche dell'emergenza e la creazione di un doppio livello di legalità processuale - commentano i due legali -, il nostro processo è alla ricerca di una sua identità. Sarebbe, però, ingeneroso non riconoscerne una chiara ispirazione alla cultura delle garanzie individuali. Piuttosto, quel che non sempre si riscontra nella prassi è l'adeguatezza dei livelli di professionalità dei suoi attori, avvocati compresi. L'esperienza insegna che non bastano le garanzie proclamate dalle norme, ma è necessaria la capacità dei soggetti del processo di trasformarle in diritto che vive. Spesso dietro vicende di malagiustizia si nascondono difetti di approfondimento di vario genere e scarsa sensibilità ai valori di civiltà della giurisdizione.

Resta, tuttavia, indubbio che molti aspetti della vigente normativa processuale reclamano riforme nell'ottica di un pieno recupero dei caratteri del modello accusatorio, che sono stati oscurati dagli innesti del doppio binario nei quali sembra di cogliere la logica medioevale dell'accertamento semplificato per i reati di maggiore gravità, i cosiddetti crimina extraordinaria.

Nel processo Lombardo non vi sono state compressioni di garanzie difensive determinate da violazioni della legge processuale. Semmai, la vicenda ha scontato i limiti interni alla fattispecie del concorso esterno in scambio politico- elettorale, la cui porosità e incertezza di confini spianano la strada a mega inchieste e gigantismi probatori innanzi ai quali l'imputato è portato a chiedersi: "ma io di cosa sono accusato e come devo difendermi?"".

Spesso, per usare due felici definizioni di Luigi Ferrajoli, il processo penale diventa "storia di errori" e il diritto penale "storia di orrori". "Tali espressioni - aggiungono gli avvocati di Lombardo - sottolineano il carattere storicamente determinato delle istituzioni penali, intrinseche alla loro natura di pratiche sociali governate dagli uomini.

Da esse l'errore non è, perciò, eliminabile, può solo essere ridimensionato migliorando la qualità delle norme e dei comportamenti di chi è chiamato ad applicarle. Occorre avere consapevolezza che il processo non obbedisce alla logica formale degli algoritmi, ma è il luogo ove si confrontano dialetticamente ricostruzioni di fatti e tesi giuridiche ciascuna delle quali aperta alla smentita e alle obiezioni confutatorie. Il contributo della difesa, specie quando è portatrice di buone ragioni e si veste di forza argomentativa, può risultare quindi decisivo per la formazione di decisioni giuste".

Il sistema di Common Law è stato messo al centro delle tesi difensive degli avvocati Maiello e Licata. L'osservazione della realtà spesso viene sacrificata in nome di proiezioni cervellotiche sganciate dalla stessa realtà e i danni che ne derivano non sono di poco conto. "Il concorso esterno in associazione mafiosa - concludono - è, nella sua sostanza precettiva, fattispecie di creazione giurisprudenziale. Ciò che occorre decisamente combattere è la tendenza a costruire i presupposti della punibilità a partire dai risultati della prova, anziché ricavarli dalla struttura della fattispecie, quale che sia la fonte, pur ribadendo che il nostro sistema di civil law non tollera congegni punitivi di judge made law. Nel processo a carico del presidente Lombardo ci siamo sentiti impegnati a rivendicare la primazia del diritto penale del fatto nel governo delle dinamiche probatorie".