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di Ferruccio Pinotti


Corriere della Sera, 30 gennaio 2022

 

L'x agente del Sismi: "Calvi e l'Ambrosiano potevano essere salvati se non fossero finiti nelle mani di Licio Gelli". "Sono finito nel vortice della strage di Bologna per i miei rapporti col Sismi. Posso provare tutto, carte alla mano".

A seconda dei "misteri d'Italia" in cui stato coinvolto Francesco Pazienza, classe 1946, è stato qualificato come agente segreto, faccendiere, depistatore. Presente a vario titolo in oscure vicende - dalla strage di Bologna (2 agosto 1980) alla morte del banchiere di Dio Roberto Calvi (18 giugno 1982) e al crac dell'Ambrosiano - ogni volta che si evoca il suo nome si materializza quel groviglio di poteri occulti che ha governato l'Italia nell'ombra, seminando morte e terrore. Ma chi è davvero Francesco Pazienza? Il Corriere lo ha intervistato ora che l'ex agente del Sismi - riprendendo il racconto fatto oltre vent'anni fa nel suo libro Il disubbidiente (Longanesi) e con il supporto di nuovi documenti inediti, ha raccontato la sua complessa storia in La versione di Pazienza, (Chiarelettere), appena uscito in libreria. Una versione certamente di parte, ma indispensabile per diradare la nebbia che ancora avvolge un pezzo importante della storia del nostro paese. Pazienza non ci sta ad accollarsi tutta la responsabilità per il crac dell'Ambrosiano, né a passare da depistatore per la strage di Bologna. Perciò narra agli ultimi giorni di Roberto Calvi, che lui ha vissuto in prima linea, e racconta i momenti salienti di quella che definisce "la grande abbuffata" dell'Ambrosiano. Ma anche molte altre cose di figure chiave della storia italiana. Il Corriere lo ha intervistato nel suo covo di Lerici, in Liguria.

 

Pazienza, Lei è stato qualificato in molti modi, non tutti esaltanti: ma lei come si definirebbe?

"Mi definire un adventurer, nel senso anglosassone di "cercatore di avventure" e non di avventuriero all'italiana. Non a caso la mia prima avventura, dopo la laurea in Medicina alla Sapienza di Roma, è stata quella di lavorare al fianco di Jacques Cousteau, il grande esploratore e oceanografo. In Francia ho lavorato come consulente finanziario. Dopo sono venute le collaborazioni con i servizi di intelligence, francesi e italiani. Amavo una frase di Churchill: "L'intelligence è un lavoro talmente sporco che solo un galantuomo lo può fare".

 

Nel 1980 Lei è divenuto un uomo del Sismi e nel 1981 consulente del "banchiere di Dio" Roberto Calvi. Come andò veramente quella storia?

"L'Ambrosiano era tutt'altro che una banca fallita. Calvi è stato vittima di un attacco perpetrato da quelli che ho definito "gli sciacalli", in primis Licio Gelli. Calvi mi disse che c'era l'esigenza di dare una mano al Maestro Venerabile in quel momento di difficoltà (il 1981 quando furono scoperti gli elenchi della P2, nda). Con il suo contorto e allusivo modo di parlare, quasi mi chiese di aderire alla (defunta) loggia massonica. Risposi: "Guardi che, ben prima della visita da parte della Guardia di finanza, Gelli aveva chiesto d'incontrarmi, ma a me non interessava per nulla

conoscerlo. Si figuri quindi se può interessarmi farlo adesso, nel momento in cui i topi scappano". In quel documento gli consigliavo di prendere le distanze da Gelli il più rapidamente possibile, se voleva cercare di evitare l'ondata di fango che si stava profilando all'orizzonte, Ancora non sapevo che il banchiere fosse iscritto alla P2. Ma lui lo sapeva benissimo, ecco da dove derivava la sua preoccupazione. L'altro aspetto che lo impensieriva, ma di cui mi avrebbe messo al corrente soltanto qualche tempo dopo, era la mancanza di referenti politici diretti. Tutti i suoi rapporti con il mondo politico erano sempre stati mediati da Gelli e il suo braccio destro Umberto Ortolani. Era completamente nelle loro mani. La morte di Calvi resta un mistero, non lo so come sia andata, anche se non sono convinto che riciclasse per conto della mafia. I Rockefeller erano interessati all'Ambrosiano, vendendolo tutto o in parte avrebbe potuto salvarsi. Solo dopo la morte di Calvi le assicurazioni Toro furono cedute agli Agnelli".

 

Lei nel 1983, mentre è negli Stati Uniti, riceve un mandato di cattura per il crac dell'Ambrosiano: verrà consegnato alle autorità italiane nel giugno del 1986. Nel 1993 è condannato a tre anni per il crac dell'Ambrosiano. Nel 1995 viene condannato a dieci anni per il depistaggio delle indagini sulla strage di Bologna. È stato in carcere complessivamente dodici anni; e dal 2007 per un anno e mezzo in affidamento ai servizi sociali...

"La materia è ampia e complessa. A differenza di quanto è capitato a De Benedetti, chiamato come me in causa per la bancarotta dell'Ambrosiano e che ne è uscito grazie alla prescrizione, per me non è stato possibile perché un noto avvocato di allora non presentò le carte giuste al processo: se avesse dimostrato che ero residente all'estero questo avrebbe valso anche a me la prescrizione. Quanto alla strage del 1980, nel mio libro denuncio poi le manovre che hanno portato alla mia condanna come depistatore per l'attentato di Bologna, contestando carte alla mano la documentazione che ha consentito la mia estradizione dagli Stati Uniti e la detenzione brutale al 41bis per oltre otto mesi. Erano gli anni dello strapotere di Andreotti in politica e di Cuccia in finanza, del potere meno visibile dei servizi segreti o del famigerato Ufficio Affari Riservati del ministero dell'Interno, di figure come Giuseppe Santovito e Federico Umberto D'Amato, passando ovviamente per Licio Gelli e per il suo sodale Umberto Ortolani. Sono gli anni più violenti e bui della nostra storia recente. Diversamente da molti altri, io non ho goduto dell'impunità concessa a molti, avendo scontato fino in fondo la mia pena in varie carceri italiane. Nelle mie memorie rivelo molte verità scomode, che posso documentare in modo completo, carte alla mano".