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di Caterina Soffici


La Stampa, 30 gennaio 2022

 

La guerra civile in Irlanda del Nord. Oggi l'anniversario più amaro, la "Domenica di sangue": un massacro senza giustizia. E la Brexit soffia sul fuoco. Bloody Sunday: anche il 30 gennaio 1972 era una domenica, la "domenica di sangue" in cui l'esercito britannico sparò sulla folla durante una manifestazione a Derry facendo 14 morti. Esattamente cinquant'anni fa, che sono tanti ma sembra ieri. E siamo ancora qui a canticchiare le parole degli U2, così attuali, non solo in Irlanda del Nord ma in tutti i luoghi del mondo dove il potere impugna le armi per chiudere la bocca ai cittadini, per imporre la sua legge contro chi scende in piazza per chiedere il rispetto dei propri diritti.

"Sunday Bloody Sunday" cantava Bono e i versi di quella canzone erano di denuncia per quanto accaduto ("bottiglie rotte sotto i piedi di bambini / corpi sparsi sulle strade della morte") ma anche un messaggio di pace, speranza e fratellanza ("non darò retta alla voce della battaglia /per quanto tempo ancora dovremo cantare questa canzone / perché stasera, possiamo essere una cosa sola, stanotte").

La pace adesso c'è, almeno sulla carta. Ma Brexit ha acceso di nuovo i riflettori sull'Irlanda del Nord, l'eterna spina nel fianco dei governi di Londra, che fatica sempre più a tenere insieme le spinte centrifughe di un regno sempre più disunito. E chissà come andrà a finire, perché l'odio brucia ancora sotto la cenere e ogni tanto basta una scintilla a far scoppiare di nuovo la violenza tra unionisti e indipendentisti, tra inglesi e irlandesi, tra protestanti e cattolici.

Già, per quanto tempo ancora dovremo cantare questa canzone? Quella domenica di cinquant'anni fa i soldati del Primo Battaglione del Reggimento Paracadutisti dell'esercito britannico furono mandati a disperdere la folla riunita a Derry, in Irlanda del Nord, quartiere di Bogside, in una manifestazione di protesta contro una legge speciale emanata del governo irlandese unionista che permetteva di arrestare gli oppositori senza processo e a tempo indefinito. Erano i primi anni dei Troubles, era una legge speciale contro l'Ira, era una violazione dello stato di diritto e dei diritti elementari della giustizia: il giusto processo e la giusta carcerazione.

Dovevano solo disperdere la marcia di protesta, ma improvvisamente i soldati iniziarono a sparare sulla folla e fu un massacro. Spararono ad altezza d'uomo, per uccidere. Alcuni furono colpiti alla schiena a distanza ravvicinata mentre tentavano di scappare, altri mentre prestavano soccorso ai feriti, altri travolti dai mezzi blindati. Quella maledetta domenica di sangue rimasero uccise 13 persone - tutti cattolici - e un'altra morì dopo quattro mesi di agonia in ospedale: 14 morti in totale. Una mattanza non degna di un Paese civile, di una grande democrazia. E ancora più indegno fu quello che accadde dopo: il governo di Londra (il primo ministro era Edward Heath) cercò di insabbiare l'indagine con una inchiesta affidata al giudice Widgery, che assolse i soldati sostenendo la loro tesi che la marcia non era pacifica e che i manifestanti erano armati e avevano bombe.

Solo ventidue anni dopo, nel 1998, l'allora premier Tony Blair decise di istituire una nuova inchiesta (presieduta da Lord Saville) e ci vollero altri dodici anni e 200 milioni di sterline per arrivare alla verità, contenuta in un rapporto di 5 mila pagine e presentato nel 2010: i manifestanti non erano armati, i soldati avevano sparato per primi e neppure per rispondere a provocazioni. Solo un ragazzino forse aveva una bomba carta, non certo una reale minaccia. In seguito alla pubblicazione del rapporto il premier dell'epoca David Cameron fu costretto a scusarsi pubblicamente con i familiari per il comportamento del governo britannico. "Un attacco ingiustificato e ingiustificabile" disse di fronte a una nazione sbigottita. Anche se nessuno ha mai ufficialmente ammesso che fu proprio quel massacro ingiustificato e ingiustificabile a scatenare la reazione violenta dell'Ira nel ventennio seguente. E anche se nessuno ha mai pagato per quanto è successo: un soldato fu indagato per omicidio, ma dopo due anni è stato prosciolto per insufficienza di prove.

Sunday Bloody Sunday cantavano gli U2, ed era il 1983 e la canzone schizzò in vetta alla classifica inglese, sbaragliando addirittura Thriller di Michael Jackson. L'immaginario collettivo non ha bisogno delle verità ufficiali e quella canzone era un grido di denuncia contro la violenza. E già Paul Mc Cartney aveva cantato per i morti di Bogside (e censurato dalla Bbc) e anche John Lennon. Perché le canzoni hanno questo potere, di parlare direttamente al cuore della gente. Come le foto che diventano icone, indelebili come il sangue sul fazzoletto bianco sventolato dal prete cattolico Edward Daly che scortava il trasporto di un ragazzo ferito. Si chiamava Jackie Duddy, aveva appena 17 anni e morì poco dopo. La foto del fazzoletto macchiato di sangue e di quel prete parlano più di tutte le inchieste e delle polemiche e ancora oggi, a cinquant'anni di distanza, fanno venire i brividi.