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di Giancarlo Visitilli


Corriere del Mezzogiorno, 29 dicembre 2021

 

Un progetto realizzato nel carcere di Trani "per dare la possibilità a chi è detenuto di esprimersi e creare attraverso la musica". È entrata in carcere che "non sapevo leggere e scrivere". Fra qualche mese sarà dottoressa in Filosofia. A cosa ti servirà la laurea, se ti sei beccata trent'anni, le chiedo, "è l'unica motivazione per cui mi sveglio la mattina". E poi il detenuto che mi chiede di andare nel suo paese, non ci va da quindici anni, non potrà andarci per i prossimi quindici: "vatti a fare 'na passeggiata al frantoio di papà. Io, qui, sento ancora l'odore di questo periodo in cui facevo l'olio con lui". E piange, perché si ricorda del gran lavoro che gli manca, "soprattutto quello di stare insieme agli altri, a parlare di vita onesta".

Sono le donne e gli uomini detenuti e condannati in via definitiva nelle carceri di Trani, ma potrebbero essere quelle e quelli di qualsiasi altro carcere italiano. Perché vivono tutti nelle stesse pessime condizioni. E allora tocca al Terzo Settore, come sempre accade, in un paese che, rispetto alle politiche dei detenuti lascia troppo, e da molto tempo, a desiderare. Il sistema carcerario funge da discarica sociale. I dati forniti dal Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria al 31 ottobre 2021, confermano che la popolazione carceraria ha basso livello di scolarizzazione e le prigioni sono affollate da migranti e fasce sociali ed economiche deboli. Un detenuto su 4 è tossicodipendente; un detenuto su 3 è immigrato; tra i minori di 24 anni la percentuale di stranieri sale addirittura al 45%. Le situazioni sono di vera e propria emergenza, oggetto di attenzione e richiami da parte della Corte Europea per i Diritti dell'Uomo di Strasburgo che ha più volte denunciato condizioni di detenzione intollerabili. L'emergenza sanitaria ha acuito i problemi.

Però c'è chi si impegna, al modo di Piero Rossi, Garante Regionale per i diritti dei Detenuti della Puglia, che ha fortemente voluto un progetto gestito dalla Cooperativa Sociale I bambini di Truffaut. Un laboratorio, "Rock Oltre Le Sbarre", condotto da operatori, anche parte di una band, Behind Bars. Il chitarrista Bob Cillo, la cantante polistrumentista italoamericana Livia Monteleone e il batterista JJ Springfield, utilizzano la forma espressiva a loro più congeniale. Fanno musica per portare solidarietà a chi vive l'isolamento della prigionia nelle carceri, nell'indifferenza della società. "Dunque Behind Bars è una 'concept band' - spiega Cillo - in cui l'aspetto musicale si integra con l'impegno civico, l'umanità e l'emotività". Quella che passa attraverso il fare la musica che muove dentro.

"Un programma di attività per dare ai detenuti la possibilità di esprimersi attraverso la musica - spiega Livia Monteleone Il carcere di Trani ci ha aperto le sue porte". La proposta non è il solito laboratorio musicale, ma nella specificità del blues e del rock, espressioni nate nel sud del mondo tra terreno, sofferenza e sudore. "Gli Afro-americani suonavano il blues nelle famigerate farms, i campi di prigionia per i lavori forzati - spiega Cillo - Oggi ci sembra giusto riportare il blues lì, nella dimensione in cui è nato; crediamo che possa funzionare".

Ed è evidente quello che accade col detenuto condannato per omicidio, notare l'esigenza di dire la sua voglia di liberarsi dal tormento dell'errore, attraverso la musica, che sulle corde e sulle pelli delle percussioni diventa un levare, più che un battere. Nel tentativo di elevarsi dal peso grave della leggerezza che non conoscono più. "Piuttosto vado a rubare, ma io i miei figli dagli assistenti sociali non ce li mando". Parte di questi racconti sta trovando il loro strumento di amplificazione, attraverso le chitarre, gli amplificatori, le percussioni. Far rumore è l'unica possibilità che le donne e gli uomini reclusi avrebbero per darsi voce. E che produca un'eco.