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di Riccardo Polidoro


Il Dubbio, 28 ottobre 2021

 

È stato definito un "film necessario" (Goffredo Fofi) ed è un giudizio da condividere. Ariaferma di Leonardo Di Costanzo descrive la vita di 12 detenuti e di alcuni agenti di polizia penitenziaria in una casa circondariale che sta per essere chiusa. Dall'istituto sono andati via tutti e loro sono costretti a restare, in attesa che la nuova destinazione dei reclusi sia pronta a riceverli. Il ritardo nel trasferimento rende il rapporto tra detenuti e agenti del tutto diverso. I primi non sono più numeri da tenere rinchiusi, ma persone con le quali - in un contesto dove è palese il disinteresse dello Stato - si è costretti a convivere.

La situazione di emergenza li rende uguali, pur nei loro rispettivi ruoli. Tant'è che il detenuto Carmine Lagioia (interpretato da Silvio Orlando), rivolto all'ispettore Gaetano Gargiulo (alias Toni Servillo), gli dice "È tosto stare in galera, eh!", e alla risposta "Tu stai in galera, io no", replica "Ah si! Non me ero accorto". Un film sulla condizione umana, che indaga sul labile confine tra il bene e il male e sui rapporti interpersonali, dove non esistono buoni e cattivi e l'imprevisto innesca nuove e forse insospettabili emozioni. Dopo la proiezione, il pensiero va inevitabilmente alla realtà, alle nostre carceri. Ieri il Riformista ha ripreso l'ennesima denuncia sulle drammatiche condizioni della casa circondariale di Poggioreale lanciata, questa volta, da parte di un sindacato della polizia penitenziaria. Il numero di detenuti sta aumentando di giorno in giorno, con circa 100 nuovi ingressi a settimana.

Le attuali, già ingestibili, presenze di quasi 2.200 ristretti sono dunque destinate a lievitare. "Una pentola a pressione pronta a scoppiare", ecco l'allarme del segretario del Sappe Donato Capece. Il pericolo è che la situazione invivibile esasperi gli animi spianando la strada a manifestazioni di insofferenza da parte dei detenuti e a reazioni non proprio ortodosse da parte del personale. Una situazione, dunque, disperata che vede come vittime detenuti e agenti e che, a volte, degenera in atti d'inqualificabile violenza da parte di questi ultimi. Sono ancora - incancellabili - dinanzi ai nostri occhi le drammatiche sequenze dei video della mattanza di Santa Maria Capua Vetere. E la possibilità che oggi, o in un vicinissimo futuro, ciò possa di nuovo avvenire, o che comunque sia già avvenuto in altri istituti, senza che all'esterno di quelle mura ve ne sia notizia, non è affatto remota.

Il pensiero, allora, ritorna al film. In quel carcere fatiscente che sta per essere chiuso, i detenuti protestano prima con la battitura, percuotendo le sbarre con oggetti di metallo, poi con lo sciopero della fame. La contestazione è dovuta alla sospensione dei colloqui con i familiari, all'interruzione di qualsiasi attività rieducativa, alla qualità scadente del cibo, all'assenza di notizie sulla data del trasferimento in altro istituto. Stanno vivendo un'emergenza burocratica - l'assenza di un luogo dove andare - che è molto simile a quell'emergenza sanitaria vissuta, nella realtà, dai detenuti con l'arrivo del Covid. Sullo schermo tutto lascia pensare a una protesta destinata a crescere di scena in scena e si attende la reazione violenta degli agenti. Ma l'illuminato ispettore Gargiulo prende - inaspettatamente anche per lui - delle decisioni non condivise dai suoi uomini e risolve la situazione dialogando con i detenuti.

Accoglie la loro richiesta di rinunciare al fetido cibo offerto dalla ditta esterna e di riaprire la cucina dell'istituto per consentire a un detenuto di cucinare per tutti. E così Lagioia si mette ai fornelli ed è genovese e ragù per tutti, detenuti e agenti. I dialoghi tra i due attori, tra pentole, cipolle, carote e altro sono minimi ma significativi, come allusivi sono i loro sguardi che lasciano comprendere la medesima estrazione sociale, ma con un percorso di vita del tutto diverso. Un film che lascia un segnale importante: il detenuto non è un numero, ma una persona. È ora che qualcuno "lassù" lo comprenda.