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di Laura Berlinghieri


Il Mattino di Padova, 20 agosto 2021

 

Indagine sulle modalità di custodia dell'uomo che poche ore prima aveva ucciso il vicino di casa. "Quando l'arrivo di un detenuto è anticipato da una segnalazione di questo tipo, la prima cosa che bisogna fare è metterlo sotto stretta sorveglianza. Inserirlo non in una cella singola, ma con altri detenuti italiani, cosicché possa comunicare facilmente.

Informare della situazione il personale del carcere, perché proceda con controlli regolari. Al suo primo, possibile tentativo di suicidio, avere una linea diretta con l'infermeria, che deve essere pronta a intervenire. Eventualmente, trasferire il detenuto nella stessa infermeria, dove possono essergli somministrati dei calmanti. Sono queste le cose da fare". La procedura prevista dal regolamento carcerario è descritta da Giampietro Pegoraro, coordinatore regionale della Cgil polizia penitenziaria, che commenta la tragedia consumatasi nel carcere di Vicenza.

Erano le 5.45 di martedì quando veniva constatata la morte di Gelindo Renato Grisotto, muratore 52enne. Meno di 24 ore prima aveva ucciso il suo rivale di sempre - Mario Valter Testolin, un artigiano di 67 anni - con due colpi di fucile. Non ha retto ai sensi di colpa. Si è suicidato, all'alba della sua prima giornata in carcere, mentre si trovava in una cella singola. Ma non è la regola, come si potrebbe pensare, in tempi di pandemia che impongono la sorveglianza sanitaria sui nuovi ingressi nei penitenziari: "All'interno di ogni carcere, è prevista una sezione dedicata all'isolamento per il Covid. Ma non si tratta di una cella singola, bensì di una stanza in cui vengono collocati i diversi detenuti positivi al virus" spiega Pegoraro.

In ogni caso, visto che le fragilità di Grisotto erano state segnalate nel "biglietto di carcerazione" consegnato al suo arrivo in carcere, adesso la procura intende vederci chiaro e capire se la tragedia avrebbe potuto essere evitata. Alla carcerazione, infatti, il magistrato aveva dato disposizioni ai carabinieri di informare il personale della fragilità psicologica dell'uomo e della necessità di stretta sorveglianza.

"Purtroppo i suicidi avvengono anche al di fuori delle strutture penitenziarie. Ma all'interno del carcere sono necessarie maggiore sorveglianza e assistenza psicologica. Perché quando entri in una cella e senti alle tue spalle la porta che si chiude con due giri di chiave, hai intorno a te soltanto quattro mura e una finestra, allora avverti che la libertà ti scivola via, vieni avvolto da un senso di insicurezza che rimarrà per sempre o, almeno, fino a quando rimarrai lì dentro.

Per questo è importante che le persone più fragili siano in cella con almeno un altro recluso" continua Pegoraro "Al suo arrivo in carcere, il detenuto è sottoposto a una visita medica e a una psicologica, quindi viene condotto nella camera. L'agente lo sorveglia e, se nota comportamenti strani, è tenuto a riferirlo al suo superiore, che eventualmente può indirizzare il detenuto all'infermiera. A questo punto può subentrare uno psicologo, che è una figura fondamentale. Ma, di notte, quando si consuma la maggior parte dei suicidi, i soli psicologi sono gli agenti".

Grisotto si è impiccato, appeso per i pantaloni a una trave del box doccia della sua cella. "Purtroppo quando una persona si vuole togliere la vita trova infiniti modi. Ho visto gente impiccarsi con le lenzuola, costruire dei lacci con i sacchetti di nylon, oppure sniffare in un sacco il gas spruzzato con una bomboletta. Non possiamo eliminare le lenzuola, non possiamo spogliare le celle di ogni cosa. Queste persone sono a rischio e bisogna aiutarle, con un supporto psicologico" conclude Pegoraro. -