sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Alessio Lana


Corriere della Sera, 11 agosto 2021

 

Robert Lloyd Schellenberg avrebbe dovuto scontare 15 anni per traffico di droga ma la sentenza si è trasformata in un gioco di forza tra Pechino, Washington e Ottawa. Martedì scorso un tribunale cinese ha respinto il ricorso presentato da un 38enne canadese condannato a morte per traffico internazionale di droga. Dietro alla sentenza però c'è un caso politico che chiama in causa Huawei, una delle più importanti imprese asiatiche, e che si protrae da almeno tre anni. Inizialmente Robert Lloyd Schellenberg avrebbe dovuto scontare 15 anni di prigione per aver contrabbandato di più di 200 chili di metanfetamine ma la sentenza era cambiata quando la figlia del fondatore di Huawei e chief financial officer dell'azienda, Meng Wanzhou, era stata arrestata in Canada nel 2018.

Da allora i due Paesi sono ai ferri corti. Meng, meglio conosciuta come "Lady Huawei", nel dicembre di tre anni fa veniva fermata all'aeroporto di Vancouver su richiesta della giustizia americana. Le accuse erano pesanti, frodi bancarie e violazione dell'embargo sull'Iran, e da allora la donna sta vivendo un esilio dorato in una sontuosa villa. Per gli statunitensi è colpevole di reati economici, per Pechino è una prigioniera politica. Questa vicenda entra direttamente nel caso Schellenberg ma non solo. Subito dopo Meng, la Cina aveva arrestato anche un manager e un ex diplomatico canadesi con l'accusa di spionaggio (Da allora i due sono al carcere duro, una situazione ben diversa dall'esilio della donna) e poi aveva convertito la pena di Schellenberg. Attenzione alle date: arrestato nel 2014, nel 2018 l'uomo era stato condannato a 15 anni di carcere ma poi, nel gennaio del 2019, proprio dopo l'arresto di Meng, aveva visto la sentenza trasformarsi in pena di morte.

Così veniamo all'oggi. La decisione del tribunale di Liaoning, nel nordest della Cina, di respingere il ricorso presentato da Schellenberg contro la massima pena arriva ancora una volta con un tempismo perfetto. A due anni e mezzo dall'arresto, il Canada ha aperto le audizioni sulla sorte di Meng, un processo che si protrarrà per settimane in cui deve fare i conti con l'altissima pressione statunitense. Ottawa deve stabilire se estradare Meng negli Usa, dove è vista come una pedina fondamentale delle relazioni Usa-Cina. Trump stesso ne aveva fatto un caso politico: dopo il bando dell'azienda dal suolo americano e il divieto per le aziende Usa di collaborarci (vedi l'uscita di Android dai dispositivi o il blocco nella fornitura di semiconduttori) l'ex presidente sembrava volesse usarla come merce di scambio per ottenere accordi favorevoli con Pechino.

La lancetta dell'orologio diplomatico però continua a ticchettare anche per uno degli altri due canadesi arrestati. È Michael Spavor, organizzatore di viaggi per la Corea del Nord, che è stato condannato dal tribunale a 11 anni di carcere. L'accusa è di aver rubato e fornito documenti segreti cinesi ad altre nazioni ma la realtà è che l'ombra di Meng si aggira anche su di lui. Pechino nel gennaio 2020 aveva anche proposto al Canada uno "scambio di ostaggi" con Meng ma il premier Trudeau l'aveva respinto con parole dure: "Il governo non fa commercio di questioni legali". "Ci opponiamo alla pena di morte in tutti i casi e condanniamo l'arbitrarietà della sentenza del signor Schellenberg", ha dichiarato il ministro degli Esteri canadese Marc Garneau in una dichiarazione dopo il verdetto. Garneau ha affermato poi che il Canada "condanna fermamente la decisione della Cina" e continuerà a chiedere clemenza per Schellenberg. L'unica possibilità per il condannato è che la sentenza venga rivista dalla Suprema corte del popolo, il massimo tribunale cinese, ma il sospetto è che tutto dipenderà da come verrà trattata "Lady Huawei".