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di Rossella Grasso


Il Riformista, 28 luglio 2021

 

"Vincenzo morto suicida, ci aveva già provato ma lo hanno lasciato solo", la denuncia disperata dei fratelli. Vincenzo Sigigliano, originario di Secondigliano, Napoli, aveva 49 anni ed è l'ennesima vittima del carcere. Ha deciso di porre fine alla sua vita impiccandosi ad un lenzuolo attaccato alle grate della sua cella a Sanremo.

"Da mesi ci diceva di continuo al telefono 'non ce la faccio più, non sto bene'. A Sanremo ci stava da 5 mesi e 4 giorni fa aveva già tentato il suicidio. La penitenziaria si è limitata a spostarlo di padiglione e lo ha messo in quello dei 'sex offender'. Lui era in carcere per truffe, faceva il 'pacco del sale'. Perché lo avevano messo lì? Ma soprattutto perché quando si è impiccato non era piantonato?". A denunciare questa situazione sono i fratelli di Vincenzo, Salvatore e Antonio Sigigliano.

Vincenzo lascia due figli piccoli, altri tre più grandi e un nipotino appena nato. Aveva una pena breve: 7 anni di cui due già scontati. I due fratelli hanno denunciato l'accaduto ai carabinieri di Secondigliano. "Intendo presentare tale denuncia per eventuali responsabilità penali nei confronti del personale della Penitenziaria effettivo nella casa di reclusione di Sanremo per i fatti che L'Autorità giudiziaria competente intenderà ravvisare in merito - recita la denuncia sporta da Salvatore - Ho il fondato motivo di ritenere che lo stesso non sia stato piantonato da terze persone per scongiurare il terribile evento".

"Lo stesso nel corso di colloqui telefonici avvenuti negli ultimi giorni con i nostri familiari manifestava un grande senso di insofferenza ripetendoci spesso la frase 'non ce la faccio più' non sto bene'. Oltre al fatto che lo stesso presumibilmente ha tentato il suicidio già altre volte negli ultimi giorni, appare a mio avviso impossibile che il personale preposto alla sua vigilanza non abbia predisposto un servizio di osservazione nei confronti di Vincenzo per evitare il suo suicidio - continua la denuncia - Inoltre trovo assurdo che abbiano recluso mio fratello a 900 km da Napoli non permettendoci di effettuare i colloqui con lui, circostanze che avrebbero sicuramente aiutato la sua situazione psicofisica, e trovo altrettanto grave il fatto che Vincenzo, che era recluso per reati contro il patrimonio era di stanza nel padiglione riservato ai sex offender di quella casa di reclusione". E chiedono all'Autorità di Imperia di fare luce sulla vicenda.

I due fratelli al Riformista raccontano però anche dell'altro, non riportato nella denuncia. "Vincenzo soffriva per questa condanna relativa a reati di 20 anni fa - racconta Salvatore - Fu arrestato in Messico due anni fa e portato a Rebibbia. Durante una visita medica evase. Fu ripreso e da quel momento per lui non c'è stata pace: doveva pagare per quella evasione".

I due fratelli raccontano che è stato trasferito prima a Monza, poi a Opera e infine a Sanremo. "Chiedeva di continuo di essere avvicinato a Napoli per poter rivedere la sua famiglia, soprattutto nostra mamma. Ma niente, veniva solo trasferito in altri carceri - continua Vincenzo - Negli ultimi giorni sarebbe dovuta arrivare anche l'istanza di trasferimento a Civitavecchia dove è detenuto anche nostro padre. C'era quasi ma non gli hanno detto niente e lui si è suicidato".

"Abbiamo il sospetto che le guardie non lo trattassero bene - continua il racconto Vincenzo - da quando era evaso ci diceva sempre che si sentiva maltrattato. Se lui non stava già bene, tanto che ha tentato il suicidio per cui lo avrebbero trasferito di padiglione, perché non ci hanno chiamato? Perché non lo hanno fatto tranquillizzare dalla sua famiglia? Gli avranno solo dato medicine che lo avranno buttato ancora più giù. A questo si aggiunge che ci ha raccontato che lui chiedeva aiuto alle guardie ma loro non rispondevano".

"Quando è entrato in carcere stava bene, era lucido, mai avuto problemi - dice con rabbia Antonio, l'altro fratello - Poi è andato tutto sempre peggio finché lo hanno spostato nel padiglione dei sex offender dove non sarebbe mai dovuto stare. Questo ha ulteriormente aggravato la sua sofferenza". Antonio racconta che si trovava in carcere a Opera quando ci sono state le rivolte allo scoppiare della pandemia.

"Lui non volle partecipare perché aveva una pena piccola da scontare e non voleva avere altri problemi - continua Vincenzo - e questo gli altri detenuti glielo fecero pagare dandogli filo da torcere. In questa situazione le guardie non hanno mai provato a tutelarlo allontanandolo dagli altri detenuti coinvolti. Addirittura quando lo hanno trasferito in un altro carcere con lui c'era anche uno dei detenuti che lo accusava di non aver partecipato alle rivolte: così avrebbe potuto avvisare anche i nuovi compagni di cella di quello che Vincenzo non aveva voluto fare insieme agli altri".