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di Rosa Carillo Ambrosio

 

Corriere del Mezzogiorno, 4 luglio 2021

 

Intervista a Don Raffale Grimaldi, Ispettore generale dei cappellani. "Gestire criticità e sicurezza insieme non è facile, ma certamente non si può assolutamente condividere la violenza gratuita verso persone indifese che già stanno pagando con una pena detentiva per i loro errori commessi". L'efferatezza delle aggressioni ai detenuti di Santa Maria Capua Vetere è condannata con determinazione da don Raffaele Grimaldi, ispettore generale dei cappellani delle carceri italiane.

Non usa mezzi termini il sacerdote di Giugliano che, dopo 23 anni trascorsi a svolgere la funzione di cappellano nel non facile carcere di Secondigliano, dal 2017 è stato chiamato dai vescovi italiani a capo dell'ufficio che interfaccia la Cei con l'amministrazione penitenziaria e della giustizia minorile. All'indomani della diffusione dei video degli incresciosi episodi ha scritto una lettera specificando che c'è bisogno di "riportare dignità e umanità nei nostri istituti penitenziari, una strada possibile".

 

Vedendo quelle immagini, purtroppo, c'è molta poca umanità e nulla di bello. Gli animi sono scossi. Don Raffaele come si potrà ripartire?

"Le carceri sono sempre luoghi dove continuamente si riparte con la forza della speranza. La violenza gratuita a persone indifese ha messo in evidenze le molteplici lacune del sistema penitenziario. Ma non bisogna arrendersi, anche se in questo momento c'è molta delusione e rabbia. Bisogna andare avanti. Il pianeta-carcere deve ritornare ad essere un vero luogo di rieducazione del condannato e non casa di repressione".

 

I detenuti sono in carcere perché devono scontare una pena, in teoria dovrebbero anche riabilitarsi. Crede che le maniere forti siano un modo per raggiungere questo obiettivo?

"La violenza non porta da nessuna parte, è un'avventura senza ritorno; anzi, produce altra violenza. Il ristretto ha bisogno invece di ascolto, di fiducia di essere incoraggiato nel cambiamento".

 

Durante episodi come questi, il cappellano circondariale, si trova al cospetto di due "uomini": quello detenuto che deve riabilitarsi ma che in carcere è malmenato e quello con la divisa che deve riabilitare ma abusa del suo potere. In questo limbo come si muove un cappellano?

"I cappellani nelle nostre carceri sono uomini-ponte. La loro missione è di invitare polizia penitenziaria, operatori tutti e detenuti a vivere la logica del Vangelo che non è repressione ma è attenzione all'altro, rispettando pienamente la dignità di tutti".

 

Con sincerità: è possibile ipotizzare che, situazioni come quelle di Santa Maria Capua Vetere, esistano anche in altri penitenziari?

"In Italia abbiamo circa 200 istituti e tutti vivono quasi le stesse tensioni e difficoltà. Noi ci auguriamo che tali episodi siano isolati, ma non possiamo escludere che anche in altre carceri ci siano state violenze gratuite, anche se in maniera diversa. Le indagini della magistratura faranno il loro corso".

 

Le nostre carceri sono al collasso per sovraffollamento. Lei coordina 250 cappellani attraverso i quali ha sicuramente contezza della problematica...

"Il sovraffollamento è stato sempre la spina nel fianco delle strutture penitenziarie, la mancanza di personale, poi, non permette di lavorare con serenità per una piena rieducazione del condannato".

 

A suo giudizio quali sono le priorità per una riforma del sistema penitenziario nel nostro Paese?

"Da anni si parla di riforma del sistema penitenziario, ma questo progetto fa fatica a decollare, il rischio è di rimanere ostaggi delle diverse correnti politiche. Ci auguriamo che con l'aiuto del ministro Marta Cartabia qualcosa possa cambiare".

 

In un momento delicato come questo le pesa essere il rappresentante di tutti i cappellani d'Italia?

"Il mio compito è di sostegno e di incoraggiamento. Le mie continue visite nelle regioni hanno lo scopo di aiutare i miei confratelli a non sentirsi soli in questa difficile missione".

 

Sicuramente si starà relazionando con la Cei. Come si pongono i vescovi italiani rispetto a questo episodio?

"I vescovi sono molto attenti alle problematiche delle carceri, ma certamente un forte slancio è stato dato da Papa Francesco con i suoi continui interventi. I vescovi. con le loro visite, fanno sentire certamente la vicinanza morale, spirituale e materiale della Chiesa".

 

Tra pochissimi giorni uscirà il suo libro dal titolo: "La voce di Dio dietro le sbarre", edito dalla Tai. È un volume indirizzato ai cappellani e a tutti gli operatori della Chiesa che svolgono servizio nelle carceri. Nel Vangelo leggiamo: "Ero carcerato e siete venuti a trovarmi". Cosa significa oggi portare la voce di Dio in questa realtà?

"È una missione di misericordia. Nessuno può giudicare l'altro, nessuno può calpestare la dignità dell'uomo imprigionato. La voce di Dio arriva al cuore di ogni condannato e deve aiutarlo a rialzarsi e a vivere un vero cammino di conversione e di cambiamento".

 

Lei vive tra Roma e Giugliano, suo paese d'origine. Proprio qui, in questa terra difficile ha avviato una serie di iniziative per accogliere l'altro disagiato: i poveri, gli immigrati, i carcerati in regime di semi-residenzialità. E poi ha avviato un gemellaggio con il Burundi. Insomma, non si ferma mai...

"Cerco di fare ciò che lo Spirito Santo mi suggerisce. Le molteplici attività di vicinanza al mondo scartato ed emarginato non è altro che la missione che mi è stata consegnata senza nessuna esaltazione. Ma vorrei ricordare a me stesso le parole del Signore: "Cosi anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare".