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di Antonella Mollica


Corriere Fiorentino, 4 luglio 2021

 

L'avvocato Michele Passione, una vita in difesa dei diritti dei detenuti non si stupisce, nemmeno dopo i fatti di Santa Maria Capua a Vetere. "Per cambiare le carceri, cambiamo prima le idee".

 

Cosa intende per cambiare il senso del carcere?

"Credo che vada dismessa una certa idea. Oggi sentiamo continuamente parlare di certezza della pena, uno slogan che non significa niente ma che è stato pure inserito nelle linee programmatiche del modello delle esecuzioni del Dap, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Non dimentichiamo che la stragrande maggioranza dei detenuti è costituita da persone con condanne sotto i tre anni, non da ergastolani o condannati per mafia". "Come si può cambiare la situazione delle carceri? Cambiando completamente paradigma: il carcere non può essere un luogo chiuso, escluso dal resto del mondo, deve essere aperto verso l'esterno. O si ripensa al senso del carcere oppure abbiamo poche speranze di vedere cambiare le cose". L'avvocato Michele Passione, penalista di Firenze, è da sempre in prima fila nella difesa dei diritti dei detenuti.

 

Il cappellano di Sollicciano ha scritto una lettera al nostro giornale denunciando le condizioni disumane in cui sono costretti a vivere i detenuti...

"Uno Stato che ti tiene dietro le sbarre senza prevedere la possibilità di aperture sul territorio dovrebbe quantomeno preoccuparsi di farti vivere in condizioni dignitose. Invece non accade. E non è un problema di risorse, visto che ogni detenuto costa allo Stato 130 euro al giorno. Già questo dato dice che dobbiamo ripensare tutto il modello. Il carcere è l'unico posto al mondo dove entri sano e ti aprono una cartella clinica. Questo significa una sola cosa: che il carcere fa male e fa ammalare".

 

Perché è così difficile cambiare le cose? Con il Recovery fund arriveranno delle risorse anche per il sistema penitenziario. Previsioni?

Bisogna andare oltre l'idea che il detenuto è solo il cattivo che ha commesso un reato. Fosse anche per una mera logica utilitaristica: quel carcerato un giorno rientrerà nella società. Le statistiche dimostrano che se vuoi più sicurezza devi aprire di più a misure alternative che fanno crollare le percentuali di recidiva dal 70 al 19 per cento. Parlare di inclusione però non porta voti ai partiti e quindi se ne parla poco". "Come al solito si punta tutto sull'edilizia. Va bene aumentare gli spazi, ne guadagna sicuramente la qualità della vita, ma la strada non può essere solo quella per migliorare la situazione. Ci saranno ristrutturazioni di alcuni padiglioni, verrà costruito qualche istituto penitenziario in più. Ma si parla sempre di cose, non di idee. Qui servono progetti di inclusione sociale. Bisogna investire su personale dell'area educativa.

 

Chi lavora in carcere sostiene che anche gli agenti di polizia penitenziaria sono detenuti,

costretti a lavorare in condizioni insostenibili...

"Penso che non interessi a nessuno in realtà cambiare le cose. C'è una colpevole inerzia da parte di tutti e non c'è ascolto su questi temi. In troppi chiudono gli occhi. Il carcere è visto come qualcosa di distante, che non appartiene alla sfera quotidiana delle persone. Ovviamente finché non ti tocca personalmente".

 

In questi giorni siamo rimasti tutti sconvolti dalle immagini delle violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Le condizioni di lavoro degli agenti possono incidere su certi comportamenti?

"Il burnout è una brutta bestia. Alcune condotte sono spesso frutto di degrado e disagio ma di fronte alla vicenda di Santa Maria Capua Vetere, come a quella di San Gimignano, che hanno visto il coinvolgimento di così tante persone, è difficile pensarlo. Non siamo di fronte a episodi, siamo di fronte alla rivendicazione della necessità di ristabilire l'ordine. La teoria delle mele marce non funziona più. Per questo mi sarei aspettato una maggiore chiarezza da parte delle istituzioni. Dal capo del Dap - che non è quello che era in carica al momento dei fatti di Caserta - mi sarei aspettato di sentir che certe cose non accadranno mai più. Invece trovo intollerabili certi silenzi. Bisogna fare ancora molto sul fronte della prevenzione, investendo di più nella formazione del personale. Che non può essere addestrato solo sull'uso della forza. Anche i magistrati conoscono poco il mondo carcerario. Dovrebbero fare un periodo di tirocinio all'interno degli istituti penitenziari come accade in Francia".