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di Susanna Ronconi


dirittiglobali.it, 4 luglio 2021

 

L'avvocato Luca Sebastiani è il difensore di Hafedh Chouchane, morto al carcere Sant'Anna di Modena. Ha portato avanti con tenacia la battaglia perché si facesse chiarezza e giustizia, e contro l'ipotesi di archiviazione. Oggi fa un bilancio di questa brutta pagina della giustizia italiana e promette che non finisce qui. La morte di Hafedh finirà alla Corte europea.

 

SR: Colpisce, nella lettura delle motivazioni dell'archiviazione, proprio la parte che riguarda Hafedh, che lascia un interrogativo più che mai aperto: cosa è accaduto in quei 50 minuti, dalle 19.30 alle 20.20, tra quando i suoi compagni lo hanno portato, grave ma vivo, davanti agli agenti a quando il medico ne ha certificato la morte? Del resto, questo è uno dei nodi di tutta la vicenda: perché non sono stati salvati?

LS: Ha perfettamente ragione, questo è il punto fondamentale che non è stato adeguatamente risolto. Premesso che nell'atto di opposizione avevamo evidenziato come nella richiesta di archiviazione, e quindi negli atti di indagine, emergevano tre versioni differenti sui soccorsi ad Hafedh in relazione sia al posto dove lo stesso è stato consegnato dai detenuti non identificati agli agenti della penitenziaria, sia all'orario in cui questo è avvenuto. E stiamo parlando di differenze macroscopiche, che dunque dovevano essere chiarite. Ad ogni modo, pur prendendo in considerazione la ricostruzione avallata dalla Procura che lei ha citato, nessuno ha spiegato cosa sia successo in quei 50 minuti nei quali poteva essere salvato. Anche perché alle 19.30 pare sia stato consegnato agli agenti della polizia penitenziaria nei pressi dell'uscita del carcere e il medico era collocato immediatamente all'esterno, dunque a poche decine di metri.

 

SR: Il giudice insiste molto sul "rischio eccentrico", se interpretiamo correttamente significa che una tale situazione di emergenza giustifica che si sia posta la massima attenzione al controllo e alla repressione ben più che ad altri aspetti, quali la tutela dei reclusi. Non è un modo, per altro sbrigativo, per aggirare ogni responsabilità della catena di comando?

LS: Dal nostro punto di vista è discutibile ravvedere il "rischio eccentrico" quando si parla di una rivolta all'interno di un carcere. L'abbiamo ripetuto in più occasioni: la rivolta in un carcere è un evento che deve essere previsto e, nei limiti del possibile, evitato: è chiaro che in presenza di un tasso di sovraffollamento carcerario così elevato e di una presenza numerica della polizia penitenziaria ridotta rispetto a quando dovrebbe essere previsto, una rivolta può scoppiare e degenerare. Ma a mio avviso questa non è una giustificazione per chi aveva obblighi di protezione e garanzia nei confronti dei detenuti. Sono certo che questo tema sarà affrontato con estrema attenzione dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che saremo costretti ad adire e dove su queste tematiche il nostro Paese è stato condannato in più di un'occasione.

 

SR: Il Garante nazionale e l'associazione Antigone non sono stati ammessi, è una scelta che mina la possibilità per chi è recluso di avere tutela, sostegno e difesa. Che valutazione fa di questa scelta e, come avvocato, quanto pensa sia importante che le associazioni per i diritti di chi è recluso possano essere attori attivi in casi come questo?

LS: È una domanda che dovrebbe rivolgere ai legali delle associazioni che sono certo avranno molto da dire su questo aspetto. A mio avviso è una decisione che non può essere accettata, in quanto quelle associazioni nascono proprio per tutelare i diritti dei soggetti privati della libertà personale e in una vicenda dove sono morti otto detenuti all'interno di un carcere italiano, quello di Modena [per la nona vittima, Salvatore Piscitelli, l'inchiesta è stata stralciata ed è ancora aperta, Ndr], appare quantomeno singolare che a tali associazioni non sia stata riconosciuta la legittimità a intervenire.

 

SR: Cosa succede adesso, è possibile che questa vicenda non si chiuda così? Ci sono possibilità sul piano giuridico di ricorrere?

LS: Questa vicenda non si chiuderà così. Per quanto riguarda le posizioni che assisto, avendo esperito ogni rimedio nazionale, siamo pronti, come dicevo, a presentarci davanti la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che già in passato è intervenuta in vicende simili e che sono convinto valuterà con attenzione le perplessità che abbiamo evidenziato.

 

SR: Se possiamo porre una domanda sul piano più personale, cosa le lascia, in termini di riflessioni ma anche di sentimenti, la storia di Hafedh e degli altri?

LS: Tanta tristezza e delusione. È stato già molto doloroso affrontare la notizia della morte di Hafedh, al quale ero particolarmente affezionato; è stato ancor più doloroso dover informare personalmente i familiari, che non conoscevo, ma che se non era per me chissà quando lo avrebbero saputo; lo è stato vederlo sepolto in un cimitero vicino Modena in condizioni che vi lascio immaginare ed è davvero angosciante sentire ancora oggi la madre che non riesce a farsi una ragione e non ha ancora la possibilità di avere la salma di suo figlio in Tunisia. Per fortuna ci sono tanti cittadini che ci stanno dando una mano, costituendo comitati e raccogliendo fondi per rimpatriare la salma di Hafedh, ai quali va un sentito grazie da parte nostra.

Ci aspettavamo altro e per questo siamo delusi e amareggiati, ma tutto questo è ciò che ci anima e che ci consente di portare avanti una battaglia così triste e solitaria.