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di Stefano Cappellini


La Repubblica, 4 luglio 2021

 

Il dibattito sul ddl Zan torna ad accendersi sull'identità di genere ma si porta appresso lo scontro sull'identità politica. Di Italia viva, nello specifico, dato che il partito di Matto Renzi, con una mossa che non si può certo definire sorprendente, ha proposto di apportare in Senato alcune modifiche al testo della legge che vuole combattere le discriminazioni omo e transfobiche.

Proposta che ha fatto infuriare Pd e M5S, gli ex soci di Matteo Renzi nel Conte bis, e in compenso ha raccolto l'applauso di Matteo Salvini e di buona parte del centrodestra. Lo scontro sulla Zan si carica insomma di nuovi risvolti politici oltre quelli che già da mesi dividono il Parlamento.

Il sospetto dei detrattori di Renzi è che la mossa sul ddl sia il passaggio decisivo per aprire una fase di avvicinamento al centrodestra, la prima di una serie di convergenze che potrebbero passare anche dal voto sul nuovo presidente della Repubblica all'inizio del prossimo anno e concludersi con un accordo alle politiche nel 2023. Forse il sospetto, al momento, non reggerebbe il vaglio di un processo. Ma gli indizi non mancano e certo la tesi difensiva dei renziani - che si dicono decisi a trovare un'intesa con la destra sulla legge per evitare che il testo così com'è finisca impallinato dal voto segreto in aula - non è solidissima. Anche perché Renzi e i senatori Iv fin qui hanno giurato di non essere loro i franchi tiratori in agguato pronti a giocare uno scherzo alla Zan.

Quindi bisognerebbe credere che si siano appassionati alla possibilità di modificare la legge insieme alla destra solo per scongiurare che siano i presunti franchi tiratori di Pd e M5S ad affossarla. Una forma di machiavellismo altruistico, non proprio il genere più praticato dalle parti di Italia viva. Il problema che complica la vicenda è l'esistenza di un altro fondato sospetto, cioè che la Lega non abbia tanto a cuore l'idea di un compromesso sul testo quanto quella di spedire la legge su un binario morto. Una possibilità così concreta che lo stesso capogruppo al Senato di Iv, Davide Faraone, ha proposto di aggirarla così: accordo su un nuovo testo in Senato e fiducia alla Camera, dove il ddl dovrebbe inevitabilmente tornare per una nuova lettura.

Le reali intenzioni della destra sono un punto chiave della vicenda, perché è ovvio che non è in sé blasfemo né inaccettabile ipotizzare aggiustamenti. Alcuni passaggi, per esempio quello nell'articolo che "fa salva" la libertà di espressione, potrebbero certamente essere scritti meglio. La stessa "identità di genere", che Iv propone di cassare dalla legge lasciando solo il riferimento alla discriminazione omo e transfobica, potrebbe uscire senza gravi danni rispetto alla finalità della legge, che è prevenire e punire più severamente gli atti di aggressione alla comunità lgbtq+.

Lo stesso Zan, nel respingere la proposta di Iv, ha ricordato ieri che l'identità di genere "è già tutelata da sentenze costituzionali e trattati internazionali come diritto fondamentale della persona". È chiaro che c'è una distinzione tra identità sessuale e orientamento sessuale, ma onestamente è arduo sostenere che la differenza abbia un peso nello smuovere l'odio e gli atti ostili di violenti e intolleranti, né si rischierebbe di lasciare impuniti i trasgressori.

Ma è evidente che chi aspetta con ansia una norma ispirata a criteri di civiltà fa giustamente fatica ad accettare che tutto salti in aria per questioni di pulizia formale del provvedimento, soprattutto se tali questioni potrebbero nascondere semplicemente l'intento di tenere l'Italia agganciata all'Europa di Orbàn, con cui Salvini e Meloni hanno appena firmato un manifesto reazionario, piuttosto che all'Europa dei diritti e del progresso civile.