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di Declan Walsh*

 

La Repubblica, 4 luglio 2021

 

Migliaia di prigionieri di guerra etiopi sono stati fatti sfilare venerdì nella capitale regionale del Tigray, con la folla esultante che si accalcava lungo le strade per schernirli e per applaudire le milizie, che pochi giorni fa hanno sbaragliato uno degli eserciti più potenti d'Africa. Molti dei soldati erano a testa china, guardavano per terra. Alcuni dovevano essere trasportati su barelle, altri portavano bende macchiate di sangue. La repentina sconfitta delle forze etiopi ha ribaltato in modo sorprendente la situazione in una guerra civile che ha provocato quasi due milioni di sfollati nella regione del Tigray, dove la popolazione ha sofferto fame, atrocità e stupri.

La sfilata dei prigionieri è stata la risposta al primo ministro etiope, Abiy Ahmed, che martedì scorso, nella capitale nazionale, Addis Abeba, aveva definito "una bugia" sostenere che le sue truppe fossero state sconfitte, e aveva aggiunto di aver dichiarato un cessate il fuoco unilaterale per motivi umanitari. Abiy ha proclamato la vittoria l'anno scorso, circa un mese dopo aver avviato, a novembre, l'operazione militare nel Tigray, ma i combattimenti sono proseguiti per altri sette mesi.

Affiancate dai miliziani tigrini, le ingenti colonne di soldati etiopi sconfitti hanno marciato per quattro giorni dai campi di prigionia fino alla capitale del Tigray, Macallè. Tra la folla, molti schernivano i soldati, mentre altri concentravano la loro rabbia soprattutto sul primo ministro etiope.

Circa otto mesi fa, Abiy aveva inviato le sue forze a Macallè per strappare il potere ai leader della regione, dichiarando di doverlo fare perché i tigrini avevano tenuto elezioni locali senza il permesso del governo federale. Ora i leader tigrini vittoriosi sono tornati a Macallè. Debretsion Gebremichael, il leader del partito di governo, il Fronte di Liberazione del Popolo del Tigray, ci dice che i suoi miliziani hanno fatto prigionieri più di 6mila soldati etiopi. Ma nella regione la situazione resta difficile: da quando, lunedì, l'Etiopia ha annunciato un cessate il fuoco unilaterale e ritirato le sue truppe da Macallè, nel Tigray ci sono state interruzioni nella fornitura di energia elettrica, nelle telecomunicazioni e in Internet. Il tutto esacerba una situazione umanitaria già definita terribile dalle Nazioni Unite.

Le agenzie umanitarie internazionali avvertono che sulla regione incombe una catastrofe umanitaria: non è ancora chiaro se la vittoria dei ribelli permetterà di raggiungere i più bisognosi. E secondo l'Onu centinaia di migliaia di persone sono state colpite dalla carestia. Giovedì è stato inoltre distrutto un ponte sul fiume Tekeze, che forniva un accesso vitale alla città di Shire, nel Tigray centrale, dove l'Onu stima che ci siano tra i 400mila e i 600mila sfollati che vivono in condizioni terribili. L'Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli Affari umanitari ha detto che il ponte è stato distrutto da truppe appartenenti alle Forze speciali Amhara e all'esercito dell'Eritrea, il Paese a nord del Tigray che ha combattuto come alleato delle truppe etiopi.

"La distruzione del ponte avrà pesanti conseguenze", dice Claire Nevill, portavoce del Programma alimentare mondiale. Redwan Hussein, portavoce del governo etiope, ammette che due ponti che collegano la regione del Tigray sono stati distrutti, ma nega che il governo o le forze sue alleate ne siano responsabili.

Un operatore di un'agenzia umanitaria ci racconta che nella regione entra "poco o nulla" e che le truppe lungo il confine con la regione di Amhara non lasciano passare i camion carichi di aiuti alimentari.

Nell'intervista, Debretsion ha detto che i leader del Tigray stanno lavorando per far arrivare gli aiuti internazionali il prima possibile, ma sul terreno lo scontro prosegue: uno dei più importanti leader militari della regione, Getachew Reda, sostiene che le forze del Tigray non esiterebbero ad entrare in Eritrea se fosse necessario a impedire alle truppe eritree di attaccare di nuovo. "Vogliamo colpire il più possibile il potenziale offensivo del nemico", dice Getachew.

Mentre marciano verso la prigione, i soldati etiopi sembrano affamati ed esausti. Una volta arrivati, uomini e donne sono stati separati e messi in celle. Ma prima di fermarsi sono passati per le forche caudine dei tigrini esultanti per la loro cattura. Adanay Hagos, 23 anni, dopo aver inveito contro le colonne di militari, spiega di essere così arrabbiato perché alcuni dei suoi amici sono stati uccisi dalle truppe eritree alleate con l'esercito etiope. "Questo è solo il primo passo", ha detto. "Hanno invaso la nostra terra da ovest e da sud. Finché non se ne andranno, la guerra non sarà finita".

 

*Traduzione di Luis Moriones