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di Francesca Basso


Corriere della Sera, 12 marzo 2021

 

Voto a larga maggioranza del Parlamento per il rispetto dello stato di diritto. Un messaggio forte contro le discriminazioni in Polonia e Ungheria. Da ieri l'Unione europea è "zona di libertà Lgbtiq". Almeno così l'ha dichiarata il Parlamento Ue a larga maggioranza. Una dichiarazione simbolica che vuole essere una risposta politica forte a quanto sta accadendo in Polonia e Ungheria, dove le persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, non binarie, intersessuali e queer (Lgbtiq) vengono discriminate e le pressioni di Bruxelles per il rispetto dello Stato di diritto non stanno dando risultati.

Sono infatti passati due anni dalla creazione della prima "Lgbt Free Zone" in Polonia e ad oggi sono oltre 100 le regioni, contee e comuni che hanno adottato risoluzioni simili. In Ungheria la situazione non va meglio. In novembre la città di Nagykáta ha adottato una risoluzione che vieta la "diffusione e la promozione della propaganda Lgbtiq" e il Parlamento ungherese ha anche emendato la costituzione limitando i diritti delle persone Lgbtiq.

Gli eurodeputati hanno chiesto alla Commissione di usare tutti gli strumenti a sua disposizione per far rispettare lo Stato di diritto, incluse le procedure di infrazione, l'attivazione dell'articolo 7 del trattato Ue e la nuova clausola che protegge il bilancio dell'Ue (ma la cui applicazione è stata rimandata a più avanti). Il punto è che finora non ci sono stati progressi, ci sono due Paesi che si stanno allontanando volontariamente dai valori fondanti l'Ue: non solo nel mancato riconoscimento dei diritti delle persone Lgbtiq, ma anche di quelli delle donne (la Polonia ha vietato l'aborto), della libertà d'informazione, dell'indipendenza della magistratura. Non riuscire a far rispettare lo Stato di diritto restando impantanati nei meandri delle regole vuol dire accettare che esistono cittadini europei di serie A e di serie B. A maggio si apre la Conferenza sul futuro dell'Europa. Non inizia sotto i migliori auspici, ma sarà l'occasione per la società civile per obbligare istituzioni e Stati membri ad ascoltare la propria agenda e a chiedere cambiamenti sostanziali.