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La Repubblica, 16 giugno 2020


Richiesta di rinvio a giudizio per aver agito con "crudeltà e violenza grave". I tre agenti di polizia penitenziaria accusati del reato tortura ai danni di un detenuto, nel carcere di Ferrara avrebbero agito "con crudeltà e violenza grave" approfittando "della condizione di minorata difesa derivante dall'averlo ammanettato". È quanto contesta la Procura nella richiesta di rinvio a giudizio, firmata dal pm Isabella Cavallari. "Qui non c'è nessuno, comandante e ispettore sono solo io".

Le parole sarebbero state di uno dei tre agenti della Penitenziaria accusati a Ferrara di aver torturato un detenuto, facendolo spogliare e picchiandolo. La frase, riportata nella richiesta di rinvio a giudizio, secondo la Procura sarebbe stata pronunciata da uno dei tre, un sovrintendente, dopo che la vittima, da lui colpita ripetutamente anche con un oggetto di ferro, aveva invocato il comandante di reparto del carcere.

A quel punto sarebbe entrato nella cella il secondo agente, un assistente capo, dicendo: "Ora tocca a me". Anche lui quindi avrebbe iniziato a picchiare e insultare il detenuto, seguito dal terzo agente, che ha fatto anche da palo. Secondo quanto ricostruito dall'accusa, il sovrintendente e due assistenti capo della Penitenziaria, difesi dagli avvocati Alberto Bova e Giampaolo Remondi, si sarebbero infatti alternati nel fare da palo nel corridoio, in occasione di una perquisizione eseguita arbitrariamente dentro la cella dove si trovava recluso in isolamento il detenuto, 25 anni.

Prima il sovrintendente, dopo avergli fatto togliere maglia e canottiera, lo avrebbe fatto inginocchiare, quindi colpito con calci allo stomaco. Poi gli avrebbe fatto togliere scarpe e calzini, lo avrebbe ammanettato continuando a colpirlo su stomaco, spalle e volto e poi anche con un ferro di battitura. A quel punto la vittima avrebbe reagito, con una testata, rompendo gli occhiali all'agente, che lo ha minacciato e lo ha colpito ancora, fino a spaccargli un dente. Il detenuto allora ha chiesto aiuto, ma l'agente lo avrebbe minacciato alla gola con un coltello rudimentale, passatogli da un collega.

Finite le percosse dei tre, la vittima è stata lasciata ammanettata fino a quando non è stata notata dal medico del carcere, durante il giro tra le sezioni. Gli indagati rispondono anche di lesioni e a vario titolo di falso e calunnia, per aver scritto nei rapporti, in sostanza, che il detenuto si era opposto alla perquisizione e li aveva aggrediti.