di Giorgia De Cupertinis
Il Resto del Carlino, 24 dicembre 2021
Dentro il carcere bolognese della Dozza il progetto di sartoria con "Gomito a gomito". Formazione, lavoro e reinserimento sociale i tessuti sono donati dalle case di moda, vendite online e ai mercati. Ci sono luci che non si limitano a brillare sull'albero di Natale, ma riescono a filtrare anche il buio delle strutture detentive.
Era il 2010 quando il laboratorio sartoriale "Gomito a Gomito", gestito dalla cooperativa "Siamo Qua", ha trasformato l'arte della sartoria in uno strumento capace di restituire dignità ai detenuti del carcere della Dozza, per offrire loro un mestiere distinto e retribuito.
Se scommettere sul lavoro in carcere significa "promuovere la funzione rieducativa della pena", come sottolineato da Enrica Morandi, coordinatrice del progetto, i detenuti stringono così tra le mani la possibilità di una 'seconda chance' da ridisegnare con ago e filo. Un auspicio che, anche sotto Natale, gonfia i cuori di chi trascorrerà le feste lontano da casa.
"Gomito a gomito" è un progetto che fa della creatività e della formazione degli strumenti efficaci per volgere lo sguardo delle detenute al futuro. In cosa consiste?
"Undici anni fa abbiamo sperimentato la possibilità di avviare un laboratorio sartoriale all'interno del carcere. Attraverso la donazione di tessuti da parte di case di moda, aziende o associazioni, le detenute creano prodotti unici e artigianali, che vengono poi venduti via e-commerce o attraverso mercatini, compresi quelli natalizi. Operiamo sia nella struttura detentiva con chi deve scontare la pena all'interno, sia in una sede in via Jacopo della Quercia, per coloro che risiedono in strutture esterne: pensare ad una prospettiva futura rappresenta uno stimolo fondamentale per riprendere realmente in mano la propria 'seconda' vita e reintegrarsi, una volta uscite, nella società. È un aspetto significativo anche dal punto di vista relazionale: far parte di un progetto di sartoria si traduce in uno status, che consente loro di produrre e avere un ruolo".
Durante le festività, la solitudine dei detenuti tende ad accentuarsi. Qual è la giusta chiave per affiancarli in questa realtà?
"Il nostro è un progetto di condivisione, che si traduce in un lavoro quotidiano capace di far riacquistare fiducia in sé stessi e dove fin dall'inizio abbiamo preso a cuore la formazione delle ragazze. La realtà del carcere non è semplice e il giorno di Natale si rivela quasi sempre come un momento duro da sopportare: durante le feste natalizie, così come nel mese di agosto, si percepisce come le detenute sentano nostalgia delle attività ludiche e ricreative. La passione e l'impegno che investono in questo progetto è tangibile, tanto che quest'anno ci hanno chiesto di abbreviare il periodo di chiusura festiva e così faremo, ricominciando in anticipo: il motto "finalmente è lunedì" si traduce, in questo senso, nella loro voglia di continuare a stare in contatto con chi viene dall'esterno, che sia la sarta o chiunque prenda parte al progetto, per riprendere rapidamente l'attività".
La consapevolezza di appartenere a un progetto aiuta quindi ad accorciare le distanze dalla società circostante...
"Il Natale per i detenuti continua a essere un momento che si condivide prevalentemente con sé stessi, soprattutto in un periodo ancora segnato dalla pandemia. Nonostante si cerchi di trascorrere del tempo insieme alle compagne o prendendosi cura di sé, i pensieri continuano a essere pesanti e il periodo festivo, certamente, non aiuta. Così, sentirsi parte di un progetto può essere d'aiuto: ci sono detenute che lavorano con noi da anni".